di Marina Crisafi - L'Italia non garantisce sempre un indennizzo adeguato ed equo per le vittime di reati violenti commessi sul proprio territorio data l'assenza di un sistema di risarcimento, per cui, non garantendo adeguata tutela ai cittadini europei, viene meno ai propri obblighi comunitari. A stabilirlo è la Corte di Giustizia dell'Unione Europea, con una sentenza di oggi, rilevando le inadempienze del nostro Paese alle richieste avanzate oltre 10 anni fa.
La direttiva e le contestazioni
L'indennizzo delle vittime di reato è previsto da una direttiva europea adottata dai Paesi membri, Italia compresa, nel 2004. Secondo tale direttiva, ogni Stato doveva conformare le proprie disposizioni legislative, regolamentari e amministrative al fine di garantire a tali soggetti un indennizzo equo ed adeguato per le lesioni subite, indipendentemente dal Paese in cui è avvenuto il fatto di reato. Ciò attraverso l'introduzione di un sistema nazionale che garantisca un livello minimo di indennizzo e la cooperazione tra le autorità degli Stati membri per facilitare l'accesso all'indennizzo stesso nei casi in cui il reato sia stato commesso in luogo diverso rispetto a quello in cui la vittima risiede.
Orbene, in Italia, diverse 'leggi speciali' prevedono, a certe condizioni, la concessione di un indennizzo a carico dello Stato per le vittime di alcune forme di reati dolosi violenti (in particolare, quelli legati alla criminalità organizzata e al terrorismo), estese anche alle situazioni transfrontaliere in seguito alla trasposizione della direttiva. Ma per l'Unione l'Italia è comunque inadempiente. Così la Commissione ha promosso ricorso dinanzi alla Corte di giustizia, sostenendo che in mancanza di un sistema generale di indennizzo in grado di coprire organicamente tutte le tipologie di reati dolosi violenti nelle situazioni transfrontaliere (ad es. stupro, omicidi, lesioni personali gravi, ecc.), il Belpaese è venuto meno agli obblighi derivanti dal diritto europeo.
Per l'Italia, invece, non c'è nessuna mancanza, giacché dalla direttiva emerge che gli Stati debbano unicamente consentire ai cittadini dell'Unione residenti in un altro Stato membro di avere accesso ai sistemi di indennizzo già previsti dalle norme nazionali adottate in favore dei loro cittadini.
La sentenza
Per la Corte però non è così. Con la sentenza di oggi, i giudici del Lussemburgo hanno sottolineato infatti che il sistema di cooperazione previsto dalla direttiva richiede il rispetto del principio di non discriminazione sulla base della cittadinanza per quanto concerne l'accesso all'indennizzo delle vittime di reati nelle situazioni transfrontaliere.
Inoltre, in tali situazioni, sostengono i giudici, la direttiva impone ad ogni Stato membro di adottare un sistema nazionale che garantisca un livello minimo di indennizzo equo ed adeguato per le vittime dei crimini commessi sul proprio territorio, disponendo della competenza per precisare, almeno in linea di principio, la portata della nozione di reato doloso violento nel diritto interno. Senza tali previsioni, in sostanza, il campo di applicazione del sistema di indennizzo è limitato soltanto ad alcuni reati. Ciò è avvenuto in Italia e questo significa che il paese non ha correttamente trasposto la direttiva e va condannato.
La reazione dell'Italia
La sentenza della Cgue "con la quale si conferma il principio secondo il quale tutti i crimini violenti intenzionali devono dare accesso a un indennizzo dopo il processo penale, condanna per inadempienza l'Italia a causa della situazione normativa vigente al momento della procedura di infrazione della Commissione Europea (2011) e del conseguente deferimento davanti alla Corte di Lussemburgo (2014)". A sottolinearlo è il ministero della giustizia con una nota emanata oggi subito dopo la pubblicazione della decisione della Corte Europea. A detta del Ministero, "proprio per essere in linea con la direttiva europea (2004/80/CE) - e fatti salvi alcuni necessari "aggiustamenti" che ancora devono essere attuati - l'Italia ha proceduto alle necessarie modifiche normative". L'intervento è stato realizzato, va sapere via Arenula, con la recentissima legge europea 2015-2016 (l. n. 122/2016, artt. 11-16), "che contiene appunto la disciplina per l'indennizzo in favore delle vittime di reati intenzionali violenti".
Ora, conclude il ministero, occorre "procedere con tempestività alla valutazione delle domande di indennizzo che verranno proposte, anche per fatti criminosi commessi prima dell'entrata in vigore della legge, in modo da recuperare il forte ritardo nel recepimento della direttiva europea e ridurre il sacrificio ai diritti individuali che in tutti questi anni si è consumato".
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