Avv. Maria Manuela Leuzzi - La questione di diritto sottoposta al vaglio della Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite concerne la problematica relativa all'applicabilità o meno della proroga biennale prevista dall'art.11 della L.289 del 2002 all'ipotesi di revoca del beneficio dell'Iva agevolata al 4% per l'acquisto della prima casa.
Nella fattispecie in esame, gli acquirenti di un immobile versavano l'Iva con l'aliquota agevolata al 4% e successivamente l'Agenzia delle Entrate, previo sopralluogo, provvedeva a notificare agli stessi avvisi di liquidazione con i quali richiedeva la differenza tra l'imposta pagata e quella dovuta, trattandosi di immobile che presentava caratteristiche di lusso.
Alla stregua di ciò, i contribuenti impugnavano i predetti preavvisi e sia la Commissione Tributaria Provinciale sia quella Regionale, concordavano nel ritenere che, in buona sostanza, l'applicazione dell'Iva agevolata al 4% non fosse legittima.
Avverso tale decisione, i contribuenti proponevano ricorso per cassazione ed il collegio della quinta sezione civile, con ordinanza interlocutoria n. 18382 del 2015, rimetteva gli atti al Primo Presidente per l'assegnazione alle Sezioni Unite.
Investiti della questione, gli Ermellini, con sentenza n. 18574 del 22 settembre 2016 (qui sotto allegata) hanno precisato che la previsione normativa dell'art. 11 della L. 289 del 2002 deve essere interpretata quale possibilità di fruire dei 2 anni di proroga dei termini per la rettifica e la liquidazione della maggior imposta di registro, sia essa ipotecaria e catastale, sulle successioni e donazioni nonché sull'incremento del valore aggiunto, anche nei casi di definizione delle violazioni relative all'applicazione di agevolazioni tributarie sulle medesime imposte.
Se, infatti, un primo filone giurisprudenziale (cfr.Cass.Civ.n.6655/2014; Cass.Civ. n.3394/2015) riteneva applicabile la proroga del termine di accertamento anche alle violazioni riguardanti l'aliquota agevolata dell'Iva al 4% in caso di acquisto della prima casa, una diversa corrente giurisprudenziale (cfr.Cass.Civ.n.12847/2013 e ord. n. 5115/2015) escludeva l'applicabilità del termine di accertamento dell'Iva ai tributi non enucleati nell'art. 11 L.289/2002.
Tenendo, quindi, conto dei profili problematici che comporta l'interpretazione dell'art. 11 della L. 289/2002, i giudici di legittimità hanno evidenziato che "a salvaguardia dell'equilibrio tra gli interessi che si contrappongono nel rapporto tributario (la garanzia dei contribuenti e le esigenze di bilancio dell'ente impositore) l'ambito dell'imposizione è tracciato dal legislatore attraverso la precisa indicazione di oggetti e soggetti tassabili".
Ovvia conseguenza di ciò è che la tassazione può riguardare esclusivamente oggetti e soggetti ben delineati ed espressamente richiamati dal dato normativo.
Analogo ragionamento - continuano gli Ermellini - va esteso alla disciplina derogatoria che, pur dovendosi ritenere di stretta interpretazione, con particolare riferimento a possibili deroghe a termini di decadenza, il terzo comma dell'art. 3 dello Statuto dei Contribuenti prevede che i termini di prescrizione e di decadenza per gli accertamenti di imposta non possono essere prorogati.
Ragione per la quale, va da sé che deroghe o modifiche non possono che intervenire con legge e, in ogni caso, devono essere "espresse".
Ne discende, quindi, che, nel caso in esame, all'Amministrazione non possa spettare un termine più ampio per l'accertamento relativo ad un tributo, quale l'Iva, "per il quale più ampio termine non è stato espressamente previsto".
Pertanto, sulla scorta di tali considerazioni, i giudici della Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite, hanno cassato la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, hanno accolto il ricorso introduttivo.
Cassazione, SS.UU., sentenza n. 18574/2016
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