di Lucia Izzo - Il bullismo miete sempre più vittime, soprattutto tra i giovanissimi. Difficile dare una definizione di un fenomeno onnicomprensivo che si sostanza sovente in comportamenti aggressivi e vessatori reiterati, indirizzati da uno o più soggetti nei confronti di una o più vittime, anche senza atteggiamenti materialmente violenti (percosse, spintoni, ecc.), ma, ad esempio, con continue derisioni e diffusioni di maldicenze.
Il quadro è peggiorato con la diffusione di internet e di quello che è stato definito come cyberbullismo, una forma di bullismo che si concreta in tutti quei ripetuti e sistematici attacchi che avvengono in rete, soprattutto, ma non solo, attraverso i social network, la messaggistica istantanea, la rete telefonica o altre piattaforme telematiche.
La vittima è oggetto, ad esempio, di molestie che possono avvenire a mezzo di messaggi dal contenuto offensivo o volgari inviati privatamente oppure denigrazione su forum o gruppi online e anche furto d'identità e altri atteggiamenti persecutori con lo scopo di far nascere un senso di emarginazione, vergogna, paura, depressione.
Il fenomeno del bullismo e del cyberbullismo ha preso una piega inaspettatamente virale, tanto che il Parlamento ha accelerato l'esame del disegno di legge mirante a dettare tutele per i minori e al contempo a prevenire e contrastare il fenomeno, approvato nei giorni scorsi alla Camera e ora all'attenzione del Senato (per approfondimenti: Cyberbullismo: fino a 6 anni di carcere per gli stalker online).
Ad oggi, tuttavia, il fenomeno non è ancora disciplinato compiutamente e non è, di per sè, reato. La legge colpisce, però, le singole condotte che possono astrattamente ricondursi al comportamento del "bullo", come, ad esempio minacce, diffamazione, molestia o disturbo alle persone, ingiuria, percosse, lesioni personali, ecc.
Vediamo, quindi, cosa accade in caso di danni o reati e chi risponde della responsabilità risarcitoria nei confronti delle vittime:
Responsabilità civile o penale?
Se il comportamento è attuato da persona maggiorenne, sarà la stessa a rispondere del proprio atteggiamento, sia civilmente a mezzo di risarcimento danni, che penalmente.
Diverso il caso in cui il colpevole non abbia ancora raggiunto i 18 anni di età: in tal caso, dal punto di vista civilistico, la responsabilità è in capo alla scuola o ai genitori (per approfondimenti: "La responsabilità dei genitori, dei tutori, dei precettori e dei maestri d'arte"), mentre penalmente, essendo la responsabilità penale sempre personale, il minore sarà imputabile, ma solo dopo il compimento dei 14 anni.
Proprio per scongiurare le incognite di un procedimento penale e non essendo il bullo sempre perseguibile, la strada maggiormente battuta dalle vittime è quella del processo civile.
Soprattutto in tema di cyberbullismo, spesso è difficile riuscire a identificare una vera e propria fattispecie di reato oppure lo stesso cyberbullo: l'autore può celarsi dietro continui cambi di indirizzo IP, collegarsi tramite reti riconducibili a domini esteri e simili, e non sempre il service provider collabora per consentire di risalire al colpevole.
In ambito civilistico, invece, negli ultimi anni la giurisprudenza si è mostrata sempre più attenta, soprattutto riconoscendo le responsabilità di insegnanti, dirigenti scolastici e genitori.
Il risarcimento del danno
Per la Corte di Cassazione (sent. 20192/2014) gli autori degli atti di bullismo o cyberbullismo hanno una responsabilità solidale e oggettiva, ossia condivisa tra tutti coloro che hanno preso parte all'episodio, a prescindere dal ruolo svolto.
La scuola risponde a titolo di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, potendosi liberare dall'addebito solo se il personale dimostra di aver adempiuto con la necessaria diligenza gli obblighi di vigilanza e sorveglianza richiesti.
Una valutazione, questa, rimessa alla giurisprudenza che in alcuni casi, ad esempio, ha ritenuto che il personale avesse l'obbligo di segnalare già dai primi episodi, mentre, in altre occasioni, si è affermato che la supervisione debba avvenire non solo durante le ore di lezione o ricreazione, ma anche durante i cambi classe, l'entrata e uscita dalla scuola e gli spostamenti sul bus.
Non di facile soluzione è, invece l'addebito al genitore che si ritiene non abbia fornito al proprio figlio un'educazione appropriata: questi, infatti, rispondono a titolo di culpa in educando (art. 2048 c.c.) che può, secondo parte della giurisprudenza, anche evincersi dalle modalità degli stessi episodi di bullismo.
Ciò è avvenuto, ad esempio, nel caso di un filmato registrato con un telefonino e diffuso tra i compagni di scuola, in cui un minore veniva legato e imbavagliato, nonché percosso e deriso.
Non vi è dubbio per il Tribunale di Alessandria (sent. n. 439/2016) che debba valutarsi la responsabilità dei genitori ai sensi dell'art. 2048 c.c. quale colpa in educando.
Infatti, l'inadeguatezza dell'educazione impartita al minore, in assenza di prova contraria, è emersa dalle modalità dello stesso fatto illecito perpetrato dai proprio figli minori essendo emerso in modo chiaro un grado di maturità ed educazione fortemente carente, conseguente al mancato adempimento dei doveri incombenti sui genitori ai sensi dell'art 147 c.c.