Cosa fare quando il giudice rifiuta di motivare: un obbligo sancito dall'art. 111 della Costituzione secondo cui tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati

L'obbligo della motivazione

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Il magistrato, quando viene investito del compito di giudicare, deve provvedere alle richieste che le parti fanno nel corso di tutta la controversia ma soprattutto è tenuto a motivare circa le ragioni che ha posto alla base del suo provvedimento. E la motivazione non è richiesta solo per le sentenze che definiscono il giudizio ma anche per i provvedimenti presi nel corso dell'istruttoria, come le ordinanze di ammissione dei mezzi istruttori o le ordinanze emesse a scioglimento di una riserva per decidere sulle eccezioni formulate dalle parti.

E' la stessa Costituzione che, all'articolo 111, sancisce che "tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati".

Il codice di procedura civile, poi, agli articoli 132 e 134 richiede espressamente la concisa esposizione dei motivi in fatto e in diritto della decisione per le sentenze e la succinta motivazione per le ordinanze. Solo per i decreti, in forza di quanto dispone l'articolo 135 c.p.c., il giudice è esonerato dalla motivazione (tranne nei casi previsti dalla legge, che tuttavia nei fatti comprendono pressoché tutte le ipotesi in cui esso abbia natura giurisdizionale).

Si tratta di principi ovvi, è vero, ma nella realtà a chi non è mai capitato di aver a che fare con magistrati che non motivano le proprie ordinanze (o si limitano a dare una motivazione "apparente")?

Vediamo che cosa può fare la parte in questi casi.

Rimedi a carenze di motivazione

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Se parliamo di provvedimenti resi in sede istruttoria, il codice di rito consente alla parte di richiedere la modifica o la revoca delle ordinanze, e quindi di rimediare a eventuali carenze di motivazione. Il problema si pone se nonostante la parte abbia fatto istanza per la modifica o la revoca di una ordinanza (chiedendo espressamente di integrare il provvedimento con la motivazione), il giudice si limiti a confermare il proprio provvedimento ancora una volta senza motivare, mostrando di non avere alcuna intenzione di mettersi in discussione.

Comportamento sconveniente? Certamente sì ma non solo: se il rifiuto di dare motivazione è volontario allora non è poi così azzardato ipotizzare che il comportamento possa avere rilevanza sotto il profilo disciplinare e, perché no, sotto il profilo della violazione della legge penale.

Art. 328 c.p.: rifiuto di atti d'ufficio

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Se ci atteniamo al tenore letterale dell' art. 328 del codice penale il rifiuto volontario di motivare un provvedimento potrebbe configurare un ipotesi di rifiuto di atti d'ufficio?

Stando al tenore letterale del primo comma "Il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio, che indebitamente rifiuta un atto del suo ufficio che, per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o di igiene e sanità, deve essere compiuto senza ritardo, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni".

Avendo chiaro il testo, analizziamolo con ordine.

Soggetto attivo del reato di omissione di atti d'ufficio è il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio. Il magistrato non è forse un pubblico ufficiale? Su questo non ci sono dubbi (Si veda anche La responsabilità penale dei magistrati).

Il rifiuto penalmente rilevante, poi, deve riguardare un atto dell'ufficio da compiere senza ritardo per una serie di ragioni, tra le quali sono ricomprese anche le ragioni di giustizia.

Orbene: decidere e motivare su un'istanza di parte, come un'istanza istruttoria, è un atto dell'ufficio del magistrato?

La risposta a questa domanda è inconfutabilmente positiva.

E poi: ragioni di giustizia non rendono forse imprescindibile decidere e motivare senza ritardo?

Difficilmente si troverà qualcuno che abbia dubbi a rispondere.

Si ricorda, infine, che l'elemento soggettivo richiesto dall'articolo 328 c.p. è il dolo generico, rappresentato dalla coscienza e dalla volontà di omettere, ritardare o rifiutare un atto che il pubblico ufficiale sa di dover compiere. E la volontarietà del rifiuto si può anche desumere dal fatto che il giudice non abbia integrato una ordinanza carente di motivazione nonostante l'istanza di parte.

La conclusione, quindi, è semplice ed è una sola: se il magistrato, invitato a integrare un provvedimento che non ha motivato, si limita a confermare senza fornire la motivazione, potrebbe aver commesso non solo un illecito disciplinare ma anche un reato: il rifiuto di atti d'ufficio.

E tutto questo senza rendersi conto che non è certo questo un modo corretto di trattare le parti che hanno pur diritto di sapere il perché di un provvedimento, favorevole o contrario che sia.


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