di Lucia Izzo - Nel nostro ordinamento la prostituzione non rappresenta, di per sè, un reato vero e proprio, ma un comportamento socialmente riprovevole ai sensi della Legge Merlin n. 75/1958. Penalmente sanzionata è, invece, ogni attività che induca, favorisca o sfrutti la prostituzione altrui, giacché il legislatore è mosso dallo scopo evidente di evitare che il mercimonio del sesso sia comunque incentivato o agevolato d incentivato o agevolato a interessi o da comportamenti di terzi.
Affinché scatti la punibilità, il contributo causale del soggetto deve essere effettivo e diretto ad agevolare l'attività di meretricio con consapevolezza.
In base a tale assunto, la giurisprudenza si è costantemente orientata nel senso di non ritenere sussistente, di norma, alcun reato in capo a colui che conceda un immobile in affitto a una o più prostitute a prezzo di mercato.
Ciò si giustifica in quanto lo scopo del contratto di locazione è la soddisfazione delle esigenze abitative della persona e non, invece, un appoggio esterno all'attività illegale.
Infatti, afferma la Corte di Cassazione nella sentenza n. 39181/2015, se la locazione non è concessa allo scopo specifico di esercitare nell'immobile locato una casa di prostituzione (nel qual caso ricorrerebbe l'ipotesi di cui alla L. n. 75 del 1958, art. 3, n. 2), la condotta del locatore non configura propriamente un aiuto alla prostituzione esercitata dal conduttore, ma semplicemente la stipulazione di un contratto attraverso cui è consentito a questi di realizzare il suo diritto all'abitazione.
Insomma l'aiuto (o più esattamente il negozio giuridico) riguarda la persona e le sue esigenze abitative, e non la sua attività di prostituta. La prostituta, anche in assenza della locazione di quegli appartamenti, avrebbe comunque esercitato la sua attività.
Se è vero infatti che indirettamente, in tal modo, la prostituzione viene agevolata, questo modo indiretto "non può reggere il nesso di causalità penalmente rilevante tra la condotta dell'agente e l'evento di ausilio alla prostituzione (infatti, l'evento non è costituito dal meretricio, bensì dalla sua agevolazione)".
Un principio ribadito anche nella sentenza n. 47594/2015, secondo cui laddove la locazione avvenga a prezzo di mercato, la cessione del godimento di un appartamento ad un soggetto che vi eserciti la prostituzione non è fattore di per sé idoneo ad integrare gli estremi del reato di favoreggiamento della prostituzione sebbene il conduttore fosse consapevole dell'uso cui l'immobile era destinando.
Quando è integrato il reato
La situazione muta radicalmente e il reato di favoreggiamento è riconoscibile, invece, laddove vi sia il riscontro della prestazione da parte del locatore anche di altri servizi in favore della prostituta, idonei ad agevolare l'attività di costei, come ad esempio la ricezione dei clienti, la fornitura di profilattici o la predisposizione dei testi per le inserzioni pubblicitarie.
Per la Cassazione, sentenza n. 47387/2014, anche elementi come affitti di durata troppo breve, spostamenti continui di appartamento in appartamento e arredi comprendenti letti matrimoniali pure in cucina, bastano a "smascherare" il reale utilizzo degli immobili affittati ad alcune donne e a far condannare il proprietario degli stessi alla pena di quattro anni di reclusione e 10mila euro di multa per favoreggiamento della prostituzione.
Si tratta di fattori specifici che, secondo gli Ermellini, sono idonei a dimostrare il reato di favoreggiamento, in particolare la "limitazione cronologica di tutte le locazioni (incompatibile con una stabile residenza)", la modalità di utilizzazione da parte delle occupanti "caratterizzata dalla velocità e facilità dei loro spostamenti di appartamento in appartamento (dato ulteriormente incompatibile con l'utilizzo come abitazione)", nonché "l'allestimento specifico degli appartamenti diretto a ottimizzare il loro utilizzo per la prostituzione, collocandosi letti matrimoniali anche nelle cucine".
Oltre a tali attività collaterali, il delitto di sfruttamento si realizza anche se si prova che il locatore abbia riscosso un canone sicuramente esagerato e sproporzionato rispetto a quelli di mercato, in quanto, consapevole del "mestiere" svolto dall'inquilino, abbia tratto un ingiusto vantaggio economico dalla prostituzione altrui.
Ancora, la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 13229/2016, ha confermato la condanna per favoreggiamento nei confronti di un uomo che aveva concesso in comodato gratuito una stanza del suo pied a terre ad una donna, consentendole così di esercitare la prostituzione.
Per il Palazzaccio, infatti, "il comodato essendo a titolo gratuito, sottintende la preminente finalità di agevolare l'esercizio della prostituzione altrui e risulta, dunque, pienamente idoneo ad integrare la condotta punita dalla disposizione incriminatrice, che si concretizza in qualunque comportamento che abbia effetto di facilitazione".
Stessa conclusione quella raggiunta dal Palazzaccio nella sentenza n. 40328/2016 che ha confermato la condanna alla proprietaria che aveva ceduto in comodato gratuito una parte dell'appartamento con la consapevolezza che il comodotario vi avrebbe esercitato la prostituzione.
Tale condotta, spiega la sentenza, integra il favoreggiamento della prostituzione, essendo "sufficiente a tal fine il dolo generico, quale appunto derivante da detta consapevolezza in ordine alla attività del comodatario".
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