di Lucia Izzo - Vanno condannati per molestie i due uomini, ultraquarantenni, che hanno posto in essere scherzi da bulli sul posto di lavoro prendendo di mira un collega affetto da deficit cognitivo e problemi di alcolismo.
Lo ha disposto la Corte di Cassazione, prima sezione penale, nella sentenza n. 49573/2016 (qui sotto allegata) che ha deciso la vicenda coinvolgente due uomini, condannati all'esito del doppio grado del giudizio di merito, alla pena di tre mesi di arresto, ciascuno, con i doppi benefici di legge, perché, in concorso tra loro, per petulanza o altro biasimevole motivo, avevano recato molestia e disturbo a un collega, all'epoca ventiquattrenne, borsista presso il vivaio forestale dove prestavano attività lavorativa anche gli imputati.
Tra gli "scherzi" di pessimo gusto c'erano inviti a compiere atti di esibizione sessuale, come abbassarsi i pantaloni e mostrare le parti intime, e contattare la vittima sulla utenza cellulare per appuntamenti a sfondo sessuale simulando di essere una donna, apostrofandolo altresì con l'epiteto di "squilibrio".
Tali comportamenti, secondo l'impostazione accusatoria condivisa dai giudici di merito, erano esenti da profili di dolo di violenza sessuale e configuravano, piuttosto, gesti goliardici e di scherno, da ricondurre al contestato reato di molestia nei confronti della vittima, affetta da deficit cognitivo e da problemi di alcolismo, seguito dai servizi sociali, donde la ritenuta gravità del fatto per avere gli imputati approfittato delle note condizioni di fragilità della persona offesa, rendendola bersaglio di insulti, ironie e vessazioni di vario genere sul posto di lavoro e per telefono.
Non coglie nel segno il ricorso degli imputati, poichè anche per i giudici di Cassazione nel caso in esame è stata correttamente vagliata l'intrinseca affidabilità della versione della persona offesa, nella pur documentata fragilità delle sue condizioni psico-fisiche, e sono anche stati rilevati e apprezzati altri elementi di prova che ne hanno confermato l'attendibilità.
Tra questi la testimonianza del responsabile del vivaio nonchè di altro collega di lavoro degli imputati e della persona offesa, in quanto a costoro la vittima confidò i sorprusi e le molestie subiti, trattandosi delle sole persone dalle quali si aspettava di poter ricevere attenzione e protezione.
Ulteriore avallo della versione della persona offesa è stato ragionevolmente tratto dalla testimonianza dell'assistente sociale, intervenuta a tutela della vittima dopo aver raccolto la denuncia dell'informato responsabile su quanto accadeva, all'interno del vivaio, a scapito del giovane borsista con problemi psichici.
Infondate sono anche le censure attinenti ai trattamento sanzionatorio per negata concessione delle circostanze attenuanti generiche ed eccessiva misura della pena inflitta: per i giudici del merito sono, infatti, ritenute provate le reiterate molestie arrecate al collega, specialmente sul posto di lavoro, da coloro che avrebbero, invece, dovuto tutelare il sereno svolgimento della sua attività, con deplorevole approfittamento delle note condizioni di fragilità psichica della persona offesa. Ai ricorrenti non resta che pagare anche le spese processuali.
Cass., I sez. pen., sent. n. 49573/2016