Nota di commento alla sentenza della Cassazione, sez. III n. 21066/2016

di Noemi Belligoli - La Corte di Cassazione, Sez. III, con sentenza 19 ottobre 2016, n. 21066 statuisce che il principio contenuto nell'art. 2291 c.c. secondo cui "nelle società in nome collettivo tutti i soci rispondono solidalmente e illimitatamente per le obbligazioni sociali" è dettato esclusivamente a tutela dei terzi estranei alla società e non è dunque destinato ad operare quando sia uno dei soci ad agire.

In particolare, nel caso di specie, un socio aveva ottenuto dal Tribunale di Como - sezione distaccata di Cantù - un decreto ingiuntivo sia nei confronti della società sia nei confronti dell'altro socio - essendo quest'ultimo socio illimitatamente responsabile - per il mancato pagamento dei canoni di locazione di un immobile, di proprietà di entrambi i soci, concesso in godimento alla società. Il soccombente, pertanto, sollevava opposizione al decreto ingiuntivo pronunciato. La Corte di Appello di Milano rigettava l'opposizione e il socio decideva di proporre ricorso per cassazione.

Come è già stato sopra indicato, la Corte di Cassazione ritiene che nei rapporti fra soci di una società in nome collettivo è da escludersi l'applicazione del principio della responsabilità solidale illimitata di ciascuno di essi per le obbligazioni sociali (art. 2291 c.c.), essendo un principio dettato esclusivamente a tutela dei terzi estranei alla società (viene confermato l'orientamento già assunto dalla stessa Corte, in particolare v. Cass., 5 maggio 2004, n. 8531; Cass., 16 gennaio 2009, n. 1036).
Questa conclusione è giustificata dalla stessa struttura delle società di persone, dove l'ordinamento riconosce mera soggettività, ma non personalità giuridica perfetta, perciò per favorire l'operatività e agevolare l'attività della società stessa il legislatore ha previsto che nei confronti dei terzi, per le obbligazioni imputabili alla società, rispondano tutti i soci illimitatamente e solidalmente. La ratio della previsione trova fondamento nell'esigenza che i terzi possano fare affidamento sul patrimonio personale dei singoli soci mancando strumenti
diretti all'accertamento dell'effettiva consistenza soggettiva e patrimoniale della società.

Si tratta di un principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità per le associazioni non riconosciute, enti che, come le società di persone, non sono dotati di personalità giuridica, ma di limitata soggettività (Cass., 27 marzo 1962, n. 617; Cass., 25 ottobre 1969, n. 3502; Cass., 29 agosto 1980, n. 5020; Cass., 16 gennaio 1991, n. 354; Cass., 11 maggio 2001, n. 6554 seppur in quest'ultima sentenza emerge il principio poc'anzi citato implicitamente).

Nei rapporti fra soci non sussistendo nessuna delle suddette esigenze non opera il principio di illimitata responsabilità per le obbligazioni delle società (il socio quindi non risponde illimitatamente come avverrebbe laddove agisse un terzo estraneo alla società, salvo l'eventuale successivo regresso tra i soci stessi), ma devono essere presi esclusivamente in considerazione i reciprochi obblighi di contribuzione per gli oneri sociali.


La citata conclusione è perfettamente calzante con il principio generale espresso dall'art. 1299 c.c. che limita l'azione di regresso tra obbligati solidali alla sola quota di debito gravante su ciascuno di essi, pertanto se il socio viene chiamato a rispondere in misura maggiore rispetto alla sua quota di partecipazione potrà, per la parte eccedente la sua quota, agire nei confronti degli altri soci.

In definitiva, nel caso in esame, il controcorrente, come statuito dalla Suprema Corte, può pretendere il pagamento dei canoni scaduti nei limiti della quota di partecipazione dell'altro socio.

Dott.ssa Noemi Belligoli

noemi.belligoli@gmail.com


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