Avv. Aldo Maturo - Con il provvedimento di arresti domiciliari il giudice concede all'imputato la possibilità di stare, invece che in carcere, nella propria abitazione o altri luoghi indicati dall'art. 284 c.p.p.
Gli arresti domiciliari restano una misura cautelare perché il soggetto è comunque privato della libertà personale, tanto che ha l'obbligo di stare nel luogo designato e di osservare i divieti impostigli dal giudice, relativi ad esempio ai limiti di movimentazione o di contatti con terzi.
Interessante, a tal fine, la sentenza della Cassazione n. 22118 del 10 dicembre 2015. La Suprema Corte era stata chiamata a pronunciarsi sul caso di una donna imputata del reato di evasione perché aveva superato il portone della propria abitazione, aveva attraversato il giardino ed era uscita - secondo l'iniziale imputazione - anche fuori del cancello esterno (dove aveva incontrato tra l'altro persone non conviventi, fra cui soggetti pregiudicati). La donna era stata scoperta perché ripresa dalle videocamere installate dalla polizia per una diversa indagine su un traffico di droga.
Sia in primo che in secondo grado la donna era stata condannata a 10 mesi di reclusione per evasione dagli arresti domiciliari. I giudici, sulla base degli atti di accusa, avevano ritenuto che anche un allontanamento di modesta entità spazio-temporale era idoneo a violare lo spirito della normativa.
Nel ricorso per Cassazione i difensori avevano fatto rilevare che le prove addotte per configurare l'evasione erano state travisate. Dallo stesso verbale di arresto, infatti, risultava che l'imputata non aveva mai lasciato il suo domicilio e dai fotogrammi della video-ripresa si vedeva che la donna era sempre rimasta nel suo giardino, dove aveva aiutato la mamma sia a fare manovra con l'auto che a compiere altre faccende. Era arrivata fino al cancello di ingresso ma vi aveva stazionato senza uscire (era imputata, come si diceva, anche di aver fatto entrare persone estranee al suo nucleo familiare, fra cui anche alcuni pregiudicati). La Cassazione ha ritenuto fondati i motivi addotti dalla difesa perché nel reato di evasione dagli arresti domiciliari è necessaria la consapevole violazione del divieto di lasciare l'abitazione (cioè il luogo di esecuzione della misura cautelare) senza autorizzazione. Per abitazione devono intendersi anche le aree private di pertinenza dell'abitazione, cioè a suo uso esclusivo, fatta eccezione per aree e altri spazi condominiali. L'imputata, quindi, restando sempre nelle aree di pertinenza della sua abitazione, non aveva avuto una condotta configurabile come volontà di rendersi irreperibile o tale da compromettere o rendere difficoltosi i controlli di polizia.
La condanna per evasione era stata, perciò, annullata mentre per l' imputazione relativa all'incontro con persone estranee fatte entrare dal cancello, unitamente a pregiudicati, la Corte aveva stabilito che si trattava di comportamenti non rilevanti per essere valutati ai fini del reato di evasione dagli arresti domiciliari, perché attenevano alle modalità di esecuzione della misura cautelare (divieto di comunicare con persone diverse da quelle che con il soggetto coabitano) e quindi da valutarsi, in altra sede, a cura del giudice che l'aveva concessa.