di Valeria Zeppilli - E' vero che i compensi spettanti agli avvocati in forza del d.m. numero 140/2012 (ove applicabile) possono essere legittimamente decurtati rispetto ai parametri fissati. Tuttavia è anche vero che, nel fare ciò, il giudice non deve dimenticare di rispettare il decoro della professione.
Lo scorso 30 novembre, infatti, la Corte di cassazione ha emanato un'ordinanza destinata a far parlare e che rappresenta una conquista per il mondo forense: la numero 24492/2016.
Con essa, in particolare, è stato reputato del tutto illegittimo il decreto con il quale il giudice del merito aveva liquidato le competenze per la difesa di un fallimento nella causa per l'ammissione al passivo di Equitalia avente ad oggetto un credito di oltre 1,7 milioni di euro, in una misura inferiore rispetto a quella posta a carico del concessionario e a quanto riconosciuto dal giudice delegato.
Il secondo comma dell'articolo 2233 del codice civile, infatti, vieta di liquidare dei compensi irrisori stabilendo che "in ogni caso la misura del compenso deve essere adeguata all'importanza dell'opera e al decoro della professione".
Nel caso di specie non è stato quindi considerato condivisibile il riconoscimento di emolumenti troppo modesti dato che l'attività si era articolata su almeno tre fasi necessarie e considerato che il valore della controversia superava lo scaglione massimo.
La Corte ha oltretutto precisato che la liquidazione dei compensi dei professionisti, quando questi si riferiscono a più fasi del giudizio, deve essere fatta tenendo conto di ciascuna fase distintamente in maniera tale da permettere di effettuare una valutazione circa la correttezza dei parametri utilizzati e il rispetto delle tabelle predisposte a tal fine.
La sentenza di merito, quindi, va annullata con rinvio: l'importo liquidato all'avvocato è lesivo non solo dei minimi, ma anche del decoro della professione.
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