Breve focus sui possibili scenari che si potranno delineare dopo il voto del 4 dicembre e opinioni a confronto

di Valeria Zeppilli - Ormai siamo agli sgoccioli: domenica 4 dicembre, gli italiani saranno chiamati ad esprimere il loro parere sulla tanto discussa riforma della Costituzione.

Dopo la dichiarata inammissibilità del ricorso del Codacons, sancita dalla sentenza della Cassazione numero 24102/2016, non c'è più scampo: tessera elettorale alla mano, si va alle urne.

Facciamo quindi il punto della situazione.

Cosa cambia se vince il sì

Partendo dal Senato, la fiducia al Governo sarà votata solo dalla Camera, così come solo quest'ultima sarà chiamata ad approvare le leggi, fermo restando il ruolo fondamentale del Senato per leggi costituzionali, relative ai referendum, agli enti territoriali, ai trattati dell'Unione Europea, alle minoranze linguistiche e all'elezione o la decadenza dei senatori.

Il Senato, poi, sarà un organo di rappresentanza delle istituzioni territoriali con membri scelti dalle Regioni, fatti salvi i 5 nominati per sette anni dal Presidente della Repubblica. Le elezioni politiche, quindi, riguarderanno solo la Camera. Altre novità riguarderanno l'abolizione del limite di età per l'elezione e l'assenza di indennità aggiuntive per i senatori rispetto a quella che viene loro corrisposta per la funzione ricoperta a livello locale. Resteranno i senatori in vita e l'immunità parlamentare.

Per quanto riguarda l'approvazione delle leggi sarà inserito il cd. "voto a data certa" in forza del quale se una legge è inserita dalla Camera tra le priorità su proposta non vincolante del Governo, il voto definitivo dovrà essere raggiunto nel termine massimo di 70 giorni.

Venendo al Presidente della Repubblica, questo sarà eletto esclusivamente dai deputati e dai senatori senza la presenza dei delegati regionali e con diverse percentuali (2/3 degli aventi diritto per le prime tre votazioni, 3/5 dalla quarta alla sesta e, per le successiva, 3/5 dei votanti).

In assenza del Presidente della Repubblica le sue veci saranno fatte dal presidente della Camera e non più da quello del Senato.

Inoltre il Capo dello Stato potrà sciogliere solo la Camera.

Un'altra novità riguarderà le leggi di iniziativa popolare: se da un lato si introdurrà la garanzia costituzionale circa la loro discussione e il loro voto in parlamento, dall'altro aumenterà notevolmente il numero di firme necessarie per presentarle, che ammonteranno a 150mila.

Cambieranno, poi, le competenze delle Regioni con abolizione della competenza concorrente e aumento delle materie di competenza esclusiva dello Stato (ad esempio sicurezza sul lavoro, ricerca scientifica, protezione civile, energia, trasporti, etc.). Lo Stato, poi, potrà intervenire anche su materie di competenza non esclusiva se ciò si renderà necessario per l'unità della Repubblica e l'interesse nazionale.

Con riferimento ai referendum, il referendum abrogativo continuerà a richiedere il voto di almeno il 50% + 1 degli aventi diritti a meno che gli elettori che lo chiederanno non saranno almeno 800mila. In tal caso il quorum scenderà al 50% + 1 dei votanti alle ultime elezioni per la Camera.

Faranno poi l'ingresso nell'ordinamento il referendum di indirizzo e il referendum propositivo.

Se vincerà il sì, infine, saranno aboliti il CNEL e le province.

Cosa accade se vince il no?

Se vincerà il no resterà in essere il sistema attuale salvo che non intervengano successive pur sempre possibili riforme.

Il Senato continuerà dunque ad essere eletto (alle elezioni politiche) su base regionale dai cittadini con almeno 25 anni e i senatori resteranno 320 e con almeno 40 anni di età.

Per l'approvazione delle leggi resterà la procedura abbreviata generica già prevista per i decreti legge e i provvedimenti urgenti e i decreti legge continueranno ad essere subordinati a urgenza e necessità straordinarie.

Il Presidente della Repubblica sarà eletto dal Parlamento in seduta comune con il voto dei 2/3 per le prime tre sedute e con voto del 50% + 1 degli aventi diritto dalla quarta in poi.

Le leggi di iniziativa popolare resteranno prive di garanzia di discussione e voto ma continueranno a necessitare della firma di soli 50mila elettori.

Per i referendum abrogativi il voto valido sarà sempre quello dato da minimo il 50% + 1 degli aventi diritto e le competenze delle Regioni resteranno quelle attuali, con la permanenza della distinzione tra esclusive e concorrenti.

Infine, resteranno sia il CNEL che le province.

I possibili scenari post-referendum

Tra i possibili scenari che potrebbero presentarsi nell'Italia del post-referendum, particolarmente interessanti sono i 4 delineati dal Financial Times.

Il primo è quello del Governo tecnico, che potrebbe presentarsi in caso di vittoria del no se Renzi mantenesse la promessa di dimettersi, annunciata nei giorni scorsi. Tale nuovo esecutivo sarebbe gravato del compito di cambiare la legge elettorale prima della prossima consultazione elettorale.

Il secondo è quello delle elezioni lampo con votazioni già all'inizio del 2017 in caso di netta vittoria del no.

C'è poi lo scenario denominato Renzi 2.0, che potrebbe verificarsi se Mattarella, preso atto di un risultato di misura, chiedesse al premier di fondare un nuovo governo come auspicato anche da Barack Obama.

Infine c'è la quarta ipotesi denominata "il trionfo di Renzi" che si verificherebbe nel caso in cui questi dovesse portare a casa una vittoria.

Le opinioni a confronto

Confronto tra Fernidano Imposimato (NO) e Carlo Fusaro (SI):

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Dibattito tra Matteo Renzi e Gustavo Zagrebelsky:

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Valeria Zeppilli

Foto: 123rf.com
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