Secondo la Cassazione per evitare la sanzione il lavoratore deve dimostrare la necessità di assentarsi a causa di concomitanti e indifferibili esigenze

di Lucia Izzo - È legittimo il licenziamento del lavoratore ripetutamente assente alle visite domiciliari durante le fasce orarie di reperibilità in costanza di malattia, se questi non fornisce adeguata dimostrazione delle sue inderogabili necessità di assentarsi per concomitanti ed indifferibili esigenze.


Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, sezione lavoro, nella sentenza n. 24681/2016, respingendo il ricorso di un lavoratore che aveva chiesto dichiararsi l'illegittimità del licenziamento intimatogli dalla società per assenza al controllo domiciliare di malattia, non preventivamente comunicata al datore di lavoro.


Istanza non meritevole d'accoglimento per i giudici d'appello i quali hanno osservato che il lavoratore era stato rinvenuto ripetutamente assente alla visita domiciliare di controllo della malattia; che nessuna giustificazione, neppure ex post, aveva fornito per l'ultima assenza, che aveva portato al licenziamento, e che, per le precedenti quattro, non ne aveva fornito di adeguate; che si doveva tenere conto del particolare ruolo ricoperto dal ricorrente, caratterizzato, quale direttore di ufficio postale, dall'esercizio di compiti di coordinamento e controllo di altri dipendenti. 


Stesso esito anche a seguito dell'impugnazione in Cassazione. La Corte precisa che, nel fissare i limiti dell'obbligo di reperibilità del lavoratore alle visite di controllo, la giurisprudenza ha precisato che, mediante la previsione di cui all'art. 5 L. n. 638/1983, si è imposto al lavoratore un comportamento

(e cioè la reperibilità nel domicilio durante prestabilite ore della giornata) che è, ad un tempo, un onere all'interno del rapporto assicurativo ed un obbligo accessorio alla prestazione principale del rapporto di lavoro, ma il cui contenuto resta, in ogni caso, la "reperibilità" in sé.


Di conseguenza l'irrogazione della sanzione può essere evitata soltanto con la prova, il cui onere grava sul lavoratore, di un ragionevole impedimento all'osservanza del comportamento dovuto e non anche con quella della effettività della malattia, la quale resta irrilevante rispetto allo scopo, che la legge ha

inteso concretamente assicurare, dell'assolvimento tempestivo ed efficace dei controlli della stessa da parte delle strutture pubbliche competenti.


Ancora, in tema di controlli sulle assenze per malattia dei lavoratori dipendenti, volti a contrastare il fenomeno dell'assenteismo e basati sull'introduzione di fasce orarie entro le quali devono essere operati dai servizi competenti accessi presso le abitazioni dei dipendenti assenti dal lavoro, la violazione da parte del lavoratore dell'obbligo di rendersi disponibile per l'espletamento della visita domiciliare di controllo entro tali fasce assume rilevanza di per sé, a prescindere dalla presenza o meno dello stato di malattia, e può anche costituire giusta causa di licenziamento.


Nel caso di specie, la Corte di merito ha accertato come l'appellante non solo non avesse mai documentato, neppure ex post, alcuna causa di giustificazione in relazione all'assenza dal domicilio, ma avesse, per le quattro assenze precedenti, prodotto certificati medici, oggetto di specifico esame, inidonei a provare un serio e fondato motivo che giustificasse l'assenza alle visite domiciliari di controllo (cfr. sentenza, p. 5). 


Esaminata la relazione di consulenza medico legale depositata dal ricorrente, la Corte territoriale ha tratto il convincimento che neppure da essa fosse possibile ritenere provata la sussistenza di un giustificato motivo di assenza, atteso che, come riconosciuto dallo specialista che l'aveva redatta, la cura praticata dal ricorrente si attuava secondo appuntamenti concordati con il centro terapeutico.


Quanto alla conseguenza sanzionatoria, questa è da ritenersi legittima: questo in quanto il lavoratore era stato rinvenuto ripetutamente assente alle visite domiciliari di controllo della malattia e aveva reiterato il medesimo comportamento rilevante sul piano disciplinare, anche dopo l'applicazione della prima sanzione (della multa) e di quelle (sospensione dal servizio) in seguito, e secondo una progressione crescente (un giorno, cinque e dieci giorni), adottate dal datore di lavoro.


Un comportamento, questo, per la cui valutazione, ai fini del giudizio di proporzionalità in rapporto alla più grave misura espulsiva da ultimo inflitta, non poteva restare indifferente il contenuto delle mansioni assegnate, e cioè di preposto ad un ufficio, tali da comportare compiti di coordinamento e di controllo di altri dipendenti. 

Cassazione, sentenza n. 24681/2016

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