di Valeria Zeppilli - I rapporti tra colleghi, nel mondo dell'avvocatura, non sempre sono distesi e talvolta si supera davvero il limite. Fortunatamente, però, il codice deontologico forense c'è e il rispetto delle regole basilari che devono governare la colleganza ha un suo presidio.
Con la sentenza numero 245/2015 qui sotto allegata, ad esempio, il Consiglio nazionale forense si è confrontato con una fattispecie relativa al comportamento di un avvocato che, dietro compenso, aveva utilizzato l'opera di un cliente dell'avvocato avversario per carpire alcune informazioni sia sulle attività di quest'ultimo che sulle sue strategie difensive.
Per il CNF tale comportamento configura senza alcun dubbio un illecito disciplinare, senza che in senso contrario si possa dare una qualche rilevanza all'origine dell'opera. A nulla importa, in altre parole, il fatto che l'opera del "cliente-spia" sia stata richiesta espressamente dall'avvocato accusato o gli sia stata invece offerta in maniera spontanea.
Sia che si sia verificata l'una ipotesi, sia che sia stata posta in essere l'altra, l'unica cosa che conta affinché l'illecito disciplinare possa dirsi integrato è solo che "di tale comportamento l'incolpato abbia approfittato".
Il Consiglio ha inoltre ritenuto congrua anche l'entità della sanzione già fissata dal Consiglio dell'ordine degli avvocati di Perugia: il legale deve scontare la sospensione dall'esercizio della professione per sette mesi.
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