Avv. Gabriele Mometti - Il caso trattato dal Tribunale di Gorizia, nella sentenza allegata, riguardava i legali rappresentati di una società estera che svolge attività di trasporto internazionale di rifiuti.
Secondo il Pubblico Ministero la società avrebbe utilizzato per effettuare un trasporto un mezzo diverso da quelli inseriti nell'autorizzazione nazionale gestori ambientali.
Di tale difformità si era accorta un'impiegata della società che aveva commissionato il trasporto in Italia, la quale, avendo accertato che la targa della motrice non risultava censita tra i mezzi autorizzati, aveva richiesto alla suddetta società l'invio di una copia dell'autorizzazione nazionale gestori ambientali.
In risposta a tale richiesta, sempre secondo il Pubblico Ministero, veniva inviata a mezzo e-mail un'autorizzazione contraffatta.
Per tale ragione, i legali rappresentati della ditta trasportatrice venivano denunciati per il reato di cui all'art. 259 comma D.lvo. 152/06 (per aver effettuato un trasporto in assenza di valida autorizzazione poiché risultata falsa) ed, inoltre, per il reato di cui agli artt. 110 e 489 c.p., in relazione agli artt. 477 e 482 c.p. (per aver utilizzato il documento provvisorio abilitante il trasporto transfrontaliero di rifiuti risultato falso per data di rilascio e per l'aggiunta di una targa di un autocarro non indicata nel provvedimento originale).
Nel capo d'imputazione quest'ultimo reato veniva contestato come commesso "in località imprecisata", sebbene dagli atti del fascicolo del Pubblico Ministero emergesse con chiarezza che l'autorizzazione era stata ricevuta via e-mail presso la sede della società committente, situata nel circondario di un diverso tribunale.
Secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, il delitto di uso di atto falso di cui all'art. 489 c.p. si consuma nel momento e nel luogo in cui il documento viene utilizzato.
L'uso di un atto falso comprende qualsiasi utilizzazione giuridicamente rilevante del documento che sia diretta al conseguimento dello scopo in vista del quale la falsificazione sia stata operata o che, in qualsiasi modo incida, attraverso il cambiamento della realtà documentale, sull'affidamento che il terzo faccia su questa realtà.
Pertanto, per integrare il reato è sufficiente la mera spendita o esibizione dell'atto falso.
La fattispecie prevista dall'articolo 489 c.p. ha infatti natura di reato istantaneo, perché la sua consumazione si esaurisce con l'uso.
In tal senso, anche recentemente, la Suprema Corte di cassazione statuiva che "il reato di uso di atto falso è reato istantaneo e non permanente giacché la consumazione di esso si esaurisce con l'uso stesso" (Cass. pen., Sez. V, 29 maggio 2015, n. 38438).
E' incontestato, infatti, sin da una risalente pronuncia della Suprema Corte di cassazione, che il delitto di cui all'art. 489 c.p. si consuma nel momento e nel luogo in cui si compie il primo atto di uso del documento materialmente o ideologicamente falso (Cass. pen., Sez. V, 12 febbraio 1967, il Giust. Pen., II, 1253).
Nel caso di specie questo luogo, come detto, era la sede della committente, ma il Pubblico Ministero, tuttavia, ometteva di indicarlo.
Tale omissione poteva essere foriera di due importanti conseguenze.
La prima di queste attiene al mancato rispetto del disposto di cui all'art. 552, comma 1, lett. c), c.p.p., e si sostanzia nella nullità del decreto di citazione diretta a giudizio.
In tal senso, anche recentemente, la Suprema Corte di cassazione stabiliva infatti che la mancanza "del luogo del commesso reato può costituire vizio di "insufficiente indicazione" del requisito, previsto a pena di nullità dall'art. 429 c.p.p., comma 2, della "enunciazione in forma chiara e precisa del fatto" e ciò qualora non sia possibile collocare nel tempo e nello spazio i relativi termini del reato contestato (in tal senso, tra le altre, Cass. 6^ 22 aprile 1999, Baldini, RV 214066; Cass. 1^ 2 marzo 2005, Cifarelli, RV 231615)" (Cass. pen., Sez. I, 04 febbraio 2009, n. 9004), ed ancora, più recentemente, quanto agli effetti di tale omissione, la Suprema Corte considerava "insuperabile l'eccezione di nullità del decreto che disponeva il giudizio svolta ai sensi dell'art. 552 comma 1 lett c) cod. proc. pen., non potendosi ritenere enunciata e descritta la specifica attività posta ad oggetto della contestazione in maniera chiara e precisa, come richiesto dalla disposizione richiamata (…omissis…) trattandosi di motivo di nullità che riguarda il decreto di citazione a giudizio di primo grado, esso travolge, sulla base di quanto stabilito dall'art. 185 cod. proc. pen. le due pronunce di merito, imponendo la trasmissione degli atti al P.M. competente, per l'ulteriore corso" (Cass. pen., Sez. VI, 22 ottobre 2013, n. 43225).
Ovviamente, come riportato, le conseguenze dell'omissione in parola si differenziano a seconda della tipologia di reato contestato oltreché delle caratteristiche concrete del capo d'imputazione, escludendo la citata nullità nei casi in cui, dal tenore complessivo della contestazione, sia comunque possibile individuare la condotta concretamente contestata e circoscriverla in determinato ambito spazio - temporale.
Nel caso in esame, il capo d'imputazione appariva nullo, non avendo le caratteristiche richieste, in via suppletiva, dalla Suprema Corte di cassazione per consentire di collocare nel tempo e nello spazio il reato contestato.
Non vi era alcuna descrizione della condotta attraverso la quale il delitto sarebbe stato consumato, essendosi il Pubblico Ministero limitato a dire che gli imputati "utilizzavano" il documento asseritamente falso, senza aggiungere altro.
Sebbene negli atti del fascicolo delle indagini preliminari vi fossero elementi chiari e precisi che avrebbero consentito di descrivere in modo dettagliato la condotta, rimanevano quindi prive di risposta una serie di domande assolutamente necessarie per circostanziare la contestazione (come lo avrebbero utilizzato? dove? esibendolo a chi?).
Di qui, la seconda conseguenza della lamentata genericità ed indeterminatezza del capo d'imputazione in parola.
L'effetto della suddescritta omissione, infatti, era stato quello di mantenere la competenza per territorio del Tribunale di Gorizia e, conseguentemente, della Procura della Repubblica presso il Tribunale Ordinario di Gorizia.
Venivano quindi messi a disposizione del Tribunale gli atti del fascicolo del Pubblico Ministero contenenti l'indicazione del luogo ove l'atto era stato utilizzato, eccependo il difetto di competenza territoriale poiché il fatto di cui al capo B) dell'imputazione, ossia il più grave tra i reati contestati, era stato evidentemente commesso all'interno del circondario di competenza del Tribunale Ordinario di Udine.
Il Tribunale di Gorizia, con sentenza del 14 giugno 2016, depositata in cancelleria in data 15 giugno 2016, rigettava l'eccezione di nullità del decreto di citazione diretta a giudizio ed accoglieva, invece, l'eccezione d'incompetenza territoriale rilevando come dagli atti emergesse che il primo impiego del documento contraffatto fosse avvenuto con l'invio dello stesso a mezzo e-mail presso la sede dalla committente, sita all'interno del circondario del Tribunale di Udine.
Per tale motivo dichiarava l'incompetenza territoriale del Tribunale di Gorizia a procedere per entrambi i reati contestati, sussistendo la competenza del Tribunale di Udine, e, per l'effetto, disponeva la trasmissione degli atti al PM presso il predetto Tribunale.
Avv. Gabriele Mometti del Foro di Venezia
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Tribunale Gorizia, sentenza del 14.6.2016
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