di Valeria Zeppilli - Il diritto dei lavoratori che godono dei benefici di cui alla legge numero 104/1992 a non essere trasferiti se manca il loro consenso vale sempre, anche se le condizioni di handicap grave del familiare che si assiste non sono accertate.
Con la sentenza numero 25379 del 12 dicembre 2016 (qui sotto allegata) la Corte di cassazione ha infatti ritenuto che il quinto comma dell'articolo 33 della legge 104 (che è la norma contenente il limite al trasferimento), deve essere interpretato tenendo conto sia dell'articolo 3, comma 2, della Costituzione, che dell'articolo 26 della Carta di Nizza, che, in generale, della Convenzione delle Nazioni Unite del 13 dicembre 2006 sui diritti dei disabili (che l'Italia ha ratificato con la legge numero 18/2009).
Tutto ciò significa che il rilievo prioritario deve essere assicurato alla tutela delle persone disabili, con la conseguenza che il trasferimento dei lavoratori che le assistono può prescindere dal consenso solo ed esclusivamente quando il datore di lavoro riesca a provare la sussistenza di esigenze aziendali effettive e urgenti, insuscettibili di essere soddisfatte diversamente.
Nel caso di specie, ad aver adito la Corte era una donna che era stata trasferita quando ancora la situazione di handicap grave della madre non era stata accertata dalle commissioni mediche competenti né da un medico della USL, ma quando già la lavoratrice godeva dei permessi, pur se temporanei, rilasciati dall'Inps. Il giudice del merito, infatti, aveva ritenuto legittimo il suo licenziamento, avvenuto a fronte del rifiuto di prendere servizio presso la nuova sede di lavoro.
Per la Cassazione le doglianze della donna vanno accolte: la Corte d'appello avrebbe dovuto verificare che la lavoratrice avesse un reale bisogno di assistere le madre, senza limitarsi a dare peso solo all'assenza di documentazione medica proveniente dalla Asl. Ora, quindi, deve tornare di nuovo sulla questione.