di Lucia Izzo - Se l'avvocato abbia difeso un solo cliente dalle numerose identiche domande proposte da più attori, il suo compenso deve essere determinato sulla base di una sola domanda e maggiorato del 20% per ciascuna delle altre fino a un massimo di dieci.
È questo il principio stabilito la Corte di Cassazione, sezione seconda civile, nella sentenza n. 26614/2016 (qui sotto allegata) rigettando il ricorso di un avvocato che aveva impugnato, direttamente innanzi alla Corte di legittimità, l'ordinanza collegiale del Tribunale che, in parziale accoglimento del suo ricorso, aveva liquidato i compensi per la sua attività professionale svolta in favore di una S.p.A. in 19 giudizi di opposizione alla stima dell'indennità di esproprio davanti alla competente corte territoriale.
Il Tribunale, a fronte della complessiva somma richiesta di oltre 213mila euro, liquidava l'importo di circa 86mila euro, condannando la s.p.a. al pagamento della somma di euro 16.444, quale residuo debito risultante una volta detratto l'acconto corrisposto di euro 70mila. Il Tribunale, ritenute le cause seriali, liquidava separatamente per ciascuna causa i compensi minimi tariffari con riguardo all'effettivo valore della controversia come risultante dal decisum.
Per il legale, tuttavia, il giudice di merito avrebbe applicato erroneamente i minimi tariffari e sbagliato quanto alla affermata serialità delle cause, smentita dalla documentazione prodotta dalla quale emergeva "l'ontologica diversità delle questioni trattate, delle domande e delle eccezioni e delle conclusioni anche di c.t.u. nominati".
Diverso il parere degli Ermellini che rigettano il ricorso: in particolare, quanto al secondo motivo, in cui vengono criticate le motivazioni della sentenza, peraltro oltrepassando i limiti della censura ex articolo 111 della Costituzione, sotto il profilo della serialità delle cause, che ha indotto il Tribunale a stabilire la liquidazione ai minimi tariffari ed in applicazione dell'articolo 5 della tariffa, si ritiene non colta la duplice ratio decidendi del giudice a quo.
La Cassazione evidenzia che la serialità, dato questo oggettivo ed empirico che il Tribunale ha considerato sussistere ex actis e che non può essere messo in discussione sulla base di un mero dissenso
espresso dal ricorrente, costituisce ragione dell'applicazione del criterio di "unificazione" predicato dall'articolo 5 della tariffa, indipendentemente dalla riunione processuale delle cause
Affermata la natura seriale delle cause, viene così meno una parte significativa della censura avanzata col primo motivo di ricorso: al caso in quetione va difatti applicato il principio secondo il quale "il compenso dovuto all'avvocato che abbia difeso un solo cliente dalle identiche domande proposte da più attori va determinato sulla base non del valore cumulato delle varie domande, ma sulla base del valore di una sola domanda maggiorato del 20% per ciascuna domanda, fino ad un massimo di dieci (ovvero del 5% per ciascuna domande oltre la decima, fino ad un massimo di venti), in applicazione analogica del criterio previsto dall'art. 5 del d.m. 5 ottobre 1994 n. 585".
Al di là delle generali (condivisibili, ma non rilevanti) enunciazioni sulla obbligazione di mezzi e non di risultato o sulla "adeguatezza", per il Collegio il mezzo non coglie l'argomento di cui sopra, contrapponendovi semplicemente un criterio di ripartito che non è applicato dai giudici a quo e che non può esserlo una volta che non si è posta a censura il rilievo di omogeneità delle cause.
Cass., II sez. civ., sent. 26614/2016• Foto: 123rf.com