di Paolo M. Storani - Nella categoria delle prove atipiche del processo civile è possibile individuare
- la prova raccolta in un altro giudizio,
- la sentenza civile resa in differente processo,
- la sentenza penale e gli atti del procedimento penale che possono spiegare effetti nel processo civile,
- le scritture contenenti dichiarazioni provenienti dalla parte processuale,
- le scritture contenenti dichiarazioni provenienti da terzi rispetto ai protagonisti del giudizio,
- le certificazioni amministrative,
- i verbali di polizia giudiziaria o di altri pubblici ufficiali,
- le ammissioni del difensore e
- la perizia stragiudiziale.
A quest'ultimo proposito, ci si è interrogati su quale sia il valore rivestito da un documento che contiene stime, valutazioni o pareri non assunte in contraddittorio (il principio del contraddittorio permea l'universale sistema del processo) con le parti e, comunque, promananti da un tecnico officiato da una delle parti litiganti.
Tale documento non è una prova rispetto ai fatti che il tecnico riferisce di avere accertato.
E', invece, un semplice indizio.
Non è, quindi, utilizzabile dal giudicante ai fini dello statuire.
L'ordinamento italiano non consente, infatti, la precostituzione - al di fuori del perimetro del giudizio - di un siffatto mezzo di prova; rimaniamo, quindi, all'interno del prisma delle allegazioni difensive.
Il valore di indizio comporta che è valutabile, unitamente ad altri indizi, al pari di ogni documento proveniente dal terzo.
Tale debolezza probatoria permane anche se la consulenza di parte sia stata confermata sotto il vincolo del giuramento, con la conseguenza che il giudice del merito, ove di contrario avviso, non è tenuto ad analizzarne e confutarne il contenuto, quando ponga alla base del proprio convincimento considerazioni incompatibili e incoerenti con lo stesso e conformi al parere del proprio consulente, vale a dire il CTU.
La sostanza della perizia stragiudiziale è quella di una motivata opinione promanante da un esperto in una determinata materia, in ordine alle questioni controverse con la conseguenza che il giudice non ha, tendenzialmente e di regola, neppure l'obbligo di prenderla in considerazione, né quello di motivare il proprio dissenso da quel parere a meno che la consulenza di parte non prospetti dati e considerazioni essenziali ai fini della decisione.
Soltanto in quest'ultimo, assai raro caso il giudice ha obbligo di confutazione.
La parte, però, dovrà indicare nel ricorso per cassazione, con serie e documentate argomentazioni, in che modo l'eventuale considerazione della consulenza avrebbe spostato i termini della decisione ed avrebbe condotto ad una diversità di epilogo motivazionale.
Impresa decisamente non da poco.
Senonché, è consentito al giudice del merito, in qualche sporadico caso, di fondare la decisione su una consulenza stragiudiziale, benché sia stata impugnata e contestata ex adverso, purché fornisca adeguata ragione di tale sua valutazione discrezionale.
In proposito, va segnalato che la Sottosezione T della VI Sezione Civile della Corte di Cassazione, Pres. Antonio Merone, Est. Ettore Cirillo, con pronuncia resa il 12 dicembre 2011, n. 26550, ha statuito nel giudizio promosso dall'Agenzia delle Entrate contro la Ditta Ericsson Telecomunicazioni S.p.A. nel modo che segue.
Nel corpo della motivazione, che ha respinto il ricorso per cassazione dell'Ufficio, la S.C. così si esprime: "nel vigente ordinamento, dominato dal principio del libero convincimento del giudice, non è a questi vietato di porre a fondamento della decisione una perizia stragiudiziale, anche se contestata dalla controparte, purché fornisca adeguata motivazione di tale sua valutazione".
Inoltre, "il ricorso per cassazione dell'Agenzia si traduce nella inammissibile sollecitazione di una indagine di fatto, formulata attraverso la mera prospettazione di una diversa stima rispetto a quella adottata dalla CTR, aderente invece alle argomentazioni estimative svolte dal perito di parte senza vizi logici".
(L'acronimo CTR sta ovviamente per Commissione Tributaria Regionale, di Roma nel caso di specie.)
Ma, in linea di massima, "in ordine alle osservazioni contenute nelle consulenze di parte, il giudice di merito non è tenuto a motivare il proprio dissenso, quando ponga a base del proprio convincimento considerazioni incompatibili con le stesse e conformi al parere del proprio consulente, risolvendosi in tal caso le critiche di parte, proprio perché tendenti al riesame degli elementi di giudizio già valutati dal consulente tecnico, in mere allegazioni difensive, che non possono configurare il vizio di motivazione previsto dall'art. 360 c.p.c., n. 5".
(Cass., Sez. Lav., 10 agosto 2007, n. 17606).
Infine, come sottolinea l'Estensore Raffaele Frasca (Pres. Giovanni Battista Petti) nella sentenza indicata in calce, "quando il giudice di merito fa proprie le valutazioni del consulente tecnico di parte, lo fa nell'esercizio del suo potere di prudente apprezzamento dei fatti e, nella specie dei fatti tecnici esposti nella CTP, che come veicolo che le contiene è un documento. Ne segue che, qualora il giudice di merito faccia proprie le considerazioni del CTP, chi impugna la decisione con cui il giudice abbia valorizzato tali considerazioni non se ne può disinteressare semplicemente assumendo che il giudice di merito non le poteva utilizzare per la loro provenienza, ma è tenuto a criticare la motivazione della decisione impugnata perché essa ha fatto eventualmente cattivo esercizio del potere di cui all'art. 116 c.p.c. ovvero dei criteri logici corrispondenti alle massime di comune esperienza, avuto riguardo alle complessive risultanze probatorie".
(Cass., Sez. III, 18 settembre 2015, n. 18303).