Domanda: "Esiste una durata massima dell'assegno di mantenimento?"
Risposta: "In Italia l'assegno di mantenimento non ha in generale una durata massima e ciò né se il beneficiario è il coniuge, né se esso è destinato ai figli.
Con riferimento ai figli, in particolare, l'impossibilità per il giudice di prefissare una durata massima dell'obbligo di mantenimento deriva dall'essere lo stesso influenzato da molteplici fattori.
L'assegno, infatti, non si determina astrattamente e può perdurare anche dopo il compimento della maggiore età nel caso in cui i figli non siano in grado di provvedere autonomamente alle proprie esigenze di vita e siano collegati strettamente con il nucleo familiare di origine.
L'obbligo, quindi, cessa quando i beneficiari abbiano costituito una nuova famiglia interrompendo così il proprio legame economico con quella di provenienza o quando abbiano, comunque, raggiunto l'indipendenza economica. Come chiarito dalla giurisprudenza, a tal fine occorre che i figli percepiscano "un reddito corrispondente alla professionalità acquisita in relazione alle normali e concrete condizioni di mercato" (Cass. n. 20137/2013).
Per i genitori è poi possibile essere esonerati dall'obbligo di versare l'assegno di mantenimento ai figli anche quando questi, nonostante la madre e il padre abbiano assicurato loro le condizioni necessarie per concludere un percorso di studi, non abbiano saputo trarne profitto per negligenza, volontà o grave trascuratezza.
Venendo, invece, agli ex coniugi, anche in questo caso la durata massima dell'assegno di mantenimento disposto a carico di uno e in favore dell'altro non è fissata dal giudice, essendo influenzata da molteplici fattori.
In generale, infatti, la cessazione della corresponsione dell'assegno è disposta a seguito dell'eventuale passaggio a nuove nozze del coniuge che lo percepisce o quando questi abbia avviato una stabile convivenza con un nuovo compagno.
Un'altra causa che può far venire meno l'obbligo di corrispondere l'assegno, in determinati casi, è rappresentata dalla sostanziale modifica della condizione economica del beneficiario senza che, tuttavia, sia fissato un termine entro il quale tale obiettivo debba essere raggiunto.
A tal proposito va infatti ricordato che le capacità lavorative del coniuge o le possibilità di percepire un reddito, in astratto, non legittimano l'esonero dall'assegno, in quanto il mantenimento, in Italia, non è connesso all'incapacità lavorativa del beneficiario, quanto, piuttosto, alla conservazione del medesimo tenore di vita goduto dalla coppia in costanza di matrimonio.
Si segnala, tuttavia, che in alcuni casi il mantenimento del coniuge ha una durata massima: laddove sia intervenuta sentenza che abbia pronunciato l'annullamento o accertato la nullità del matrimonio.
In tali ipotesi, solo se entrambi i coniugi erano in buona fede, è prevista la possibilità per il giudice di disporre un assegno di mantenimento a carico di uno e a favore di un altro, per massimo tre anni dall'annullamento. È possibile anche che la determinazione della relativa somma avvenga mediante accordo tra i coniugi.
Chiaramente, oltre che per scadenza del termine, anche in caso di annullamento, il diritto di assegno si estingue per le medesime cause che comportano l'estinzione dell'assegno di mantenimento nella separazione.
In altri paesi si tende invece a limitare anche in generale la durata massima dell'assegno di mantenimento, individuandola in un periodo di uno o due anni. Ci si riferisce, in particolare, alla Germania (dove il "mantenimento a tempo" è di solo un anno) e ai paesi nordici dell'Unione Europea ma non solo. Anche in Grecia, infatti, dopo il divorzio il coniuge cui sia affidato il figlio minore e che per tale ragione non possa svolgere attività lavorativa ha diritto al mantenimento al massimo per tre anni (v. Blasi M., Sarnari G., I matrimoni e le convivenze "internazionali", Giappichelli, Torino, 2013, p. 123)".
• Foto: 123rf.com