Se manca la riconciliazione, intesa come comunione spirituale, la coabitazione eccezionale e "forzata" non osta alla pronuncia di divorzio

Domanda: "Il giudice può disporre in sede di separazione che i coniugi vivano nella stessa casa?"

Risposta: "In via generale, dato che la separazione dei coniugi presuppone la sopravvenienza di fatti tali da rendere intollerabile la convivenza o, comunque, la cessazione della comunione materiale e spirituale del matrimonio, essa comporta che la moglie e il marito, dopo di essa, tornino a vivere separati.

Tuttavia, in alcuni casi, la giurisprudenza ha ammesso che i coniugi separati continuino a vivere nella medesima abitazione.

Ad esempio, nel caso in cui le rispettive condizioni economiche non permettano a nessuno dei due di prendere in locazione un altro appartamento, o ancora quando gli stessi intendano vendere la casa cointestata e sino a quel momento non possano sostenere l'onere di un'altra abitazione.

In ogni caso si tratta si situazioni eccezionali e da reputare temporanee.

A riconoscere espressamente l'ininfluenza della coabitazione durante la separazione ai fini della pronuncia della sentenza di divorzio è stata anche la Corte di cassazione, con la sentenza numero 3323/2000.

Con tale rivoluzionaria pronuncia, in particolare, i giudici hanno attribuito esclusiva rilevanza all'assenza di riconciliazione, da intendersi come comunione spirituale e volontà di riservare all'altro la posizione di compagno esclusivo di vita.

Se la perdurante convivenza è quindi connessa a circostanze contingenti (come quelle sopra viste), non deve ritenersi che essa rappresenti il segnale di una volontà di ristabilire l'unione coniugale.

A tal proposito, tuttavia, il giudice del merito chiamato a pronunciare il divorzio di due coniugi separati che abbiano continuato a convivere (o a valutare se disporre che il marito e la moglie che chiedono la separazione possano restare sotto lo stesso tetto) deve compiere una disamina molto attenta e scrupolosa, essendo tenuto ad accertare che in effetti la coabitazione è in un certo senso forzata e non maschera intenti fraudolenti.

Ad esempio, nella vicenda decisa con la pronuncia del 2000 i due ex compagni di vita avevano continuato a vivere sotto lo stesso tetto nel totale disinteresse l'uno dell'altro, dormendo in camere separate, concentrando la loro permanenza in casa in ambienti distinti, consumando i pasti in momenti differenti".

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