di Valeria Zeppilli - Alcuni studi legali italiani, più all'avanguardia, hanno deciso che il codice deontologico forense non basta più, ma deve essere affiancato da un vero e proprio codice di comportamento.
L'idea di integrare le classiche norme di deontologia ha iniziato già da qualche tempo a prendere piede nelle realtà anglosassoni, in cui sono molti gli studi che hanno reputato fondamentale disciplinare sia l'attività professionale di coloro che ne fanno parte, che i rapporti con i collaboratori esterni e i fornitori.
E la stessa convinzione, recentemente, si è diffusa anche tra alcuni avvocati della penisola (tra i quali quelli dello studio d'affari Chiomenti): alle norme deontologiche si affiancano altri doveri comportamentali da rispettare, che vanno dall'imparzialità, all'onestà, ai principi cui ispirarsi nei rapporti con società, enti e autorità. Anche essi accompagnati da specifiche sanzioni.
Ma, effettivamente, il codice di comportamento serve o è solo una ridondante duplicazione di ciò che già c'è e vale per tutti?
I sostenitori delle nuove severe regole sono convinti che esse aiutino a migliorare l'immagine esterna dello studio e diano garanzie di affidabilità e sicurezza ai clienti. Ma non solo: permetterebbero anche di incardinare il vivere quotidiano su principi di rispetto, collaborazione e impegno.
Un modo, insomma, per elevare la soglia di qualità ed eticità dei professionisti che fanno parte di una medesima realtà.
Dall'altro lato, invece, si schierano coloro che non ritengono necessario mettere nero su bianco i principi etici che devono caratterizzare la professione a prescindere dalla predisposizione di uno specifico codice di comportamento interno e che, in ogni caso, sono sufficientemente presidiati nei rapporti tra colleghi e con clienti e giudici dal codice deontologico.
È già in quest'ultimo, infatti, che si trovano le tutele alla correttezza, alla lealtà, alla professionalità, alla riservatezza e così via.
Quella di stilare un codice di comportamento di studio, insomma, non è altro che una scelta interna, di comunicazione e di trasparenza. Una garanzia in più, della quale, però, si può anche fare a meno senza per questo compromettere i valori della professione.