di Lucia Izzo - Il precetto di cui all'art. 38, co. 2, del Nuovo Codice Deontologico (già art. 22 Cdf), secondo cui l'avvocato non deve registrare una conversazione telefonica con un collega, senza il preventivo consenso o all'insaputa di questi, deve essere inteso nel senso che il divieto riguardi anche il caso in cui il telefono sia posto in viva voce per consentire ai terzi presenti di ascoltare la conversazione con il collega interlocutore.
Lo ha precisato il Consiglio Nazionale Forense nella sentenza del 17 febbraio 2016, n. 7 (qui sotto allegata), pubblicata sul sito istituzionale il 22 gennaio 2017. Al Consiglio ha ricorso un avvocato, avverso la decisione con la quale il competente COA gli aveva inflitto la sanzione disciplinare della censura.
Il legale aveva, in più di un'occasione, posto a viva voce il telefono presso il proprio studio alla presenza di terzi, così consentendo che fosse ascoltata la conversazione con una collega, ma senza avvisare l'interlocutrice di dette circostanze. Tale comportamento per il Consiglio dell'Ordine aveva rappresentato una violazione dell'obbligo di correttezza e e lealtà nei rapporti con i colleghi di cui al Codice deontologico.
Inutile per l'avvocato difendersi affermando che il comportamento da lui posto in essere (telefonate ai colleghi in viva voce, alla presenze di terzi e senza aver preventivamente avvisato i colleghi della circostanza) non possa considerarsi illecito deontologico atteso che vi era stato costretto sia dal comportamento "scorretto" dei colleghi professionisti e sia dalla necessità di salvaguardare gli interessi dei clienti.
Non coglie nel segno l'affermato conflitto tra due precetti deontologici, ossia il dovere di colleganza e il dovere di difesa: secondo il CNF, una delle peculiarità della professione forense, nell'espletamento del mandato ricevuto, è la necessità per l'Avvocato, al di fuori delle formalità processuali, di potersi esprimere liberamente, senza timore di esser strumentalizzato, sia con il collega avversario che con il codifensore in modo da individuare e garantire la più efficace tutela degli interessi del proprio assistito (basti pensare, aggiunge il Collegio, all'approccio informale che avviene solitamente tra Avvocati, e finalizzato alla definizione transattiva di una controversia, laddove le basi della futura transazione presuppongono inevitabilmente la possibile ammissione di responsabilità del proprio cliente).
Il precetto di cui all'art. 38, 2 comma (così come quelli dei successivi artt. 48 e 51 del nuovo CDF) ha proprio la funzione di tutelare il più libero svolgersi dell'attività professionale che trova, nella corretta e riservata interlocuzione tra i colleghi (sia essa verbale che scritta) una delle sue caratteristiche più tipiche da salvaguardare.
Il tenore della norma deontologica è quello di tutelare la riservatezza delle conversazioni tra colleghi e quindi, sebbene non esplicitata espressamente nell'art. 22, Comma 3 del vecchio CDF (ora art. 38, comma 2, del nuovo), il divieto di registrazione delle conversazioni tra colleghi deve intendersi esteso anche al caso in cui sia posto in viva voce il telefono per consentire ai presenti di ascoltare la conversazione senza il preventivo consenso del collega interlocutore.
Consiglio Nazionale Forense, sent. 7/2016• Foto: 123rf.com