di Marina Crisafi - Chiedere insistentemente soldi al parroco è reato. E' integrata infatti la fattispecie di molestia o disturbo alle persone. A stabilirlo è il Tribunale di Aosta, con la recente sentenza n. 471/2016 (qui sotto allegata), confermando la condanna per il reato previsto e punito dall'art. 660 del codice penale, nei confronti di un uomo che "in luogo pubblico e comunque aperto al pubblico, recandosi più volte presso le case parrocchiali - e - anche ripetutamente con il mezzo del telefono, con insistenza e petulanza recava disturbo al parroco nei tre luoghi sopra indicati, chiedendo ripetutamente del denaro".
Nel processo, che si svolgeva in assenza dell'imputato (pur risultando lo stesso esserne a conoscenza visto che aveva tempestivamente nominato un difensore), il pm chiedeva l'affermazione della penale responsabilità dell'uomo, con condanna a 4 mesi di carcere.
E per il tribunale, le prove raccolte nel dibattimento sono sufficienti. Dalle dichiarazioni del prete, infatti, emergeva che lo stesso aveva conosciuto personalmente l'uomo proprio per le molestie subite a seguito delle insistenti richieste di denaro, sia in chiesa al termine delle funzioni religiose, che al telefono. Non solo. Al rifiuto del parroco, si legge in sentenza, a causa dello "sperpero al gioco del denaro ricevuto, l'imputato era solito assumere toni imperativi".
Le dichiarazioni del prete trovano conferma nei tabulati telefonici che incastrano in modo "inequivoco" l'uomo per le numerosissime chiamate partite dalla sua utenza. Per cui, l'imputato è "oltre ogni ragionevole dubbio colpevole della contravvenzione ex art. 660 c.p.". Quanto alla pena, infine, il giudice aostano ha ritenuto "congrua" valutati i parametri ex art. 133 c.p. e nella prospettiva della rieducazione del reo delineata dall'art. 27 Cost, la condanna a 200 euro di ammenda e al pagamento delle spese processuali.
Tribunale Aosta, sentenza n. 471/2016• Foto: 123rf.com