Per la Cassazione il successivo rifiuto dell'accertamento da parte della gestante non interrompe automaticamente il nesso causale

Avv. Laura Bazzan - Il medico ginecologo di fiducia non adempie correttamente la propria prestazione se, richiesti accertamenti sulle condizioni della gravidanza e del feto da parte della paziente, non prescriva l'amniocentesi e, all'esito della gravidanza, il feto nasca con una sindrome che quell'accertamento avrebbe potuto svelare. Il rifiuto al prelievo del liquido amniotico presso una struttura ospedaliera, opposto in occasione di ulteriori controlli dopo due mesi dalla prestazione, "non può dal giudice di merito essere considerata automaticamente come causa efficiente esclusiva, sopravenuta all'inadempimento, riguardo al danno alla propria salute psico-fisica che la gestante lamenti per avere avuto la "sorpresa" della condizione patologica del figlio all'esito della gravidanza, occorrendo all'uopo invece accertare in concreto che sul rifiuto non abbia influito il convincimento ingenerato nella gestante dalla prestazione erroneamente eseguita"; tale rifiuto, inoltre, "non elide l'efficacia causale dell'inadempimento quanto alla perdita della chance di conoscere lo stato della gravidanza fin dal momento in cui si è verificato e, conseguentemente, ove la gestante lamenti di avere subito un danno alla salute psico-fisica, per avere avuto la sorpresa della condizione patologica del figlio solo al termine della gravidanza, la perdita di quella chance dev'essere considerata una parte di quel danno ascrivibile all'inadempimento del medico".

Questi i principi di diritto espressi dalla Corte di Cassazione nella recente sentenza n. 243/2017 (qui sotto allegata). Il caso sottoposto all'attenzione della Suprema Corte vede come protagonista una donna che aveva citato in giudizio il proprio ginecologo per ottenere il risarcimento dei danni asseritamente subiti in conseguenza del comportamento da questi tenuto nel corso della gravidanza, conclusasi con la nascita di un figlio affetto da sindrome di Down. Il medico, in particolare, non aveva prescritto l'amniocentesi alla paziente e quest'ultima aveva rifiutato di sottoporvisi durante dei controlli ospedalieri due mesi dopo.

Nell'esaminare il ricorso proposto dalla paziente, la Corte di legittimità ha rilevato come il non corretto adempimento della prestazione professionale da parte del medico abbia impedito alla gestante di conoscere lo stato della gravidanza e del feto. Di conseguenza, nel valutare se al rifiuto della paziente di sottoporsi all'accertamento a distanza di due mesi dalla prestazione possa essere attribuita efficacia causale esclusiva, devono considerarsi non solo la mutata situazione e condizione (affidamento nell'operato del proprio medico da un lato e prescrizione dell'ospedale dall'altro), ma anche il mutamento del bene coinvolto dalla scelta atteso che, nonostante il diritto di scelta sulla libera interruzione della gravidanza si collocasse già oltre il termine legale al momento della prestazione, il feto ormai aveva due mesi in più.

Invero, secondo l'articolato ragionamento della Corte, la successiva scelta di rifiutare l'accertamento può essere condizionata dall'inadempimento della prestazione del medico, di talché non si può astrattamente ritenere che lo stesso perda ogni efficienza causale. In ogni caso, proprio la cattiva esecuzione della prestazione del medico ha precluso alla paziente la possibilità di conoscere lo stato del feto fin dal momento in cui si è rivolta al medesimo. Per queste ragioni, la Cassazione ha rinviato la causa in appello affinché la predetta valutazione venga condotta dal giudice di merito sulla scorta degli enucleati principi.

Cassazione, sentenza n. 243/2017

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