Nota di commento alla sentenza del Consiglio di Stato sez. 3, n. 3092 del 16.07.2016
Avv. Francesco Pandolfi - Ancora una volta esaminiamo la relazione tra procedimenti penali per reati appartenenti al mondo finanziario e l'affidabilità nell'uso delle armi.


Diciamo subito che la sentenza in commento esclude questa relazione diretta ed è, quindi, favorevole al ricorrente.

In altri termini: i giudici affermano che si tratta di vicende penali (aldilà della soluzione processuale scelta dall'interessato) distanti dall'utilizzo dell'arma e, come tali, prive di incidenza.


Il caso riguarda un divieto del Prefetto di detenere armi e munizioni, ai sensi dell'art. 39 TULPS, in pendenza di un procedimento penale (emissione di fatture false ed evasione tributi).

La soluzione offerta dal Collegio di appello è, come anticipato, favorevole all'interessato.

Infatti, dice la Magistratura, in primo luogo nessun addebito specifico è stato mai mosso al ricorrente, legittimo detentore di armi da decenni per l'esercizio della caccia.

In secondo luogo, si tratta di una persona avveduta nella custodia e nel maneggio delle armi.

In terzo luogo, l'unico elemento a suo carico sarebbe una condanna patteggiata quale legale rappresentante di una società, per frode fiscale, falso e simili.

Ora, per aversi un ragionevole sospetto (magari anche ricavato da indizi) che vi sia rischio di abuso dell'arma, bisognerebbe avere a che fare con manifestazioni di aggressività verso le persone, anche senza l'impiego di armi.

Ma nel caso in questione la condanna penale non riguarda reati ostativi al rilascio di porto d'armi.

In pratica

L'errore del Prefetto è stato non illustrare il suo ragionamento, il percorso logico con il quale la frode fiscale e il falso documentale possano essere spiegati, a suo avviso, come elementi indiziari di una ridotta affidabilità in materia di detenzione di armi.

Per questi motivi l'appello è stato accolto.


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Francesco Pandolfi
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