di Angelo Casella - Onde meglio facilitare la comprensione delle origini della complessa e tormentata vicenda di cui si tratta, è necessario premettere brevi cenni biografici sullo sfortunato protagonista.
A.- 1 Emanuele Martinez, è il rampollo cadetto di una vecchia famiglia di Palermo, (dove nasce l' 1.1.1882); il padre è a capo della Capitaneria di Porto e la madre, baronessa Labiso, si occupa di attività benefiche.
Emanuele, rinunciando ad una vita tranquilla e comoda, di proprio impulso, volle mettersi alla prova e si trasferì, appena sedicenne, in Gran Bretagna per dedicarsi alla attività alberghiera.
Dopo duri anni di apprendistato, dai primi incarichi come sguattero lavapiatti, seppe a poco a poco tenacemente conquistarsi, gradino per gradino, un successo straordinario, grazie ad una eccezzionale volontà, una indubbia vocazione ed un infaticabile impegno personale.
Trasferitosi quindi in Francia, appena sulla trentina, ottenne la direzione di un importante gruppo alberghiero di Nizza, comprendente gli hotels Ruhl, Royal ed Imperial finché, pervenuto a gestire una attività in proprio, diede vita sempre a Nizza, all'Hotel de France (Plaza), nonché a famosi night clubs, come il Maxim e l' Ernest.
Lavoratore infaticabile e dotato di straordinario talento, con i frutti del proprio lavoro, potè acquisire anche la maggioranza azionaria dell'Hotel Carlton di Parigi dove diede vita, con il noto giornalista Henry Latellier di "Le Journal", all'Hotel Napoléon.
Con proprio denaro, acquistò un grande immobile su piazza de l'Etoile a Parigi e realizzò, sempre a Parigi, un elegante salone da The in Rue Magellan, nonché un grande night club in Rue Fontaine. Diresse, o ebbe in gestione, anche altri famosi alberghi, come il Metropole di Dieppe, il Westminster di Parigi, il Piccadilly di Londra, il Grand Hotel di Cabourg (dove aveva come cliente fisso Proust), il Carlton di Cannes, l'Hotel Ruhl di Vichy e l'Hotel Tortoni di Parigi, sugli Champs Elysées.
Il suo nome era diventato sinonimo di perfezione nella ospitalità alberghiera:
lo stesso governo inglese affidò a lui, nel 1925, l'incarico di occuparsi del padiglione britannico alla esposizione delle Arti Decorative di Parigi.
La sua notorietà, non solo a livello europeo, era divenuta ormai tanto vasta da essere comunemente definito "Le Roy des Hoteliers". Grazie alla sua abilità ed al severo impegno sempre profuso, ogni iniziativa alberghiera, pur in stato fallimentare, nelle sue mani rapidamente rifioriva.
Confortato da grande considerazione e simpatia, in virtù anche delle sue spiccate doti umane, nel 1903 ricevette dal Bey di Tunisi (città dove aveva curato la gestione di un grande albergo), la onorificenza della croce di Nickam- Iftikhar; nel 1918 quella di Chevalier du St. Sepulcre de Jerusalem e, nel 1920 fu nominato Cavaliere del Lavoro della Corona d'Italia. Oltre a vari diplomi di benemerenza, nel 1919 ricevette dall'Ordre de l'Orphelinat et de la Maison de retraite des Mèdailles Militaires, un significativo diploma con medaglia per aver offerto ospitalità gratuita nei suoi alberghi agli orfanelli della Guerra del '15-'18.
Finalmente, nel 1927, disponendo, dopo 30 anni di lavoro in tutta Europa, di capitali adeguati, cedette tutte le sue attività per costruire un grande hotel di lusso a Cannes, su di un'area prospiciente la Croisette, di metri quadrati 10.326. Un albergo nel quale voleva riassumere tutta la propria esperienza e dare corpo alle idee innovative che aveva maturato.
L'albergo, cui diede il suo nome ("Martinez"), fu intestato alla società anonima des Grands Hotels de Cannes (SGHC) della quale egli era l'unico azionista. Venne aperto al pubblico nel 1929 ed era l'orgoglio del suo creatore: si trattava del più grande e del più elegante della Costa Azzurra, con 400 camere di quasi 90 mq ognuna, appartamenti, saloni per riunioni, tre ristoranti per le diverse esigenze degli ospiti, ed una grande spiaggia privata. Martinez come sempre, seguiva direttamente ogni particolare del servizio. Si alzava alle 5 per sovrintendere agli acquisti giornalieri delle vivande ai mercati e controllava poi la preparazione, la cottura e la presentazione di tutto ciò che veniva servito.
L'edificio, costruito senza risparmi, in pregevole stile decò e sotto la direzione di Martinez, è stato recentemente definito, da noti albergatori, un "palazzo superbo" e "un albergo rivoluzionario per la sua epoca".
Costò 75 milioni di franchi dell'epoca, di cui 35 forniti direttamente da Martinez, ed il rimanente preso a credito.
L'Hotel riscosse immediato ed entusiastico favore, divenendo in breve uno dei miti della Belle Epoque.
Con la flessione dell'attività alberghiera a causa della guerra del 39-45, Martinez - per spontaneo senso di solidarietà umana - si dedicò alla assistenza delle persone in difficoltà per l'occupazione tedesca e, avvalendosi della propria autorità e dei propri mezzi, in molti casi ne favorì segretamente l'espatrio.
A.2.- Le truppe germaniche, durante l'occupazione, avevano requisito l'albergo per farne il loro quartier generale in zona. Quando, nel 1944, esse si allontanarono, il segretario di Martinez, certo Bertagna, volendo trarre vantaggio dalla situazione, cercò di impaurire lui e la moglie, sostenendo di aver raccolto informazioni riservate secondo le quali i partigiani del CLN, erano formati da estremisti pericolosi che potevano incorrere in voluti equivoci sui suoi rapporti con i tedeschi e dare sfogo ad avidità personali. Gli consigliò così di allontanarsi temporaneamente da Cannes, fino a che la situazione non si fosse normalizzata.
Nonostante l'assoluta tranquillità della propria coscienza circa la condotta tenuta verso chiunque in quegli anni difficili, non solo priva di mende, ma anzi ricca di meriti (v. ad es. i docc. n. 1 e 2), Martinez, pensoso più per la salute della moglie che per sé stesso, il 15. 8. 44 partì da Cannes per recarsi a Milano. Lasciò a mani del Bertagna, il fondo in contanti per la gestione dell'albergo: più di 10 milioni di franchi dell'epoca in denaro liquido, titoli e valori diversi. Con questo atto di fiducia segnò la sua condanna. Non doveva rivedere mai più né il suo albergo, né questi valori, (e neppure i suoi oggetti personali).
Approfittando dello stato di confusione istituzionale del momento, il Bertagna diede via libera ai propri oscuri disegni e presentò immediatamente denunce calunniose contro Martinez, avvalendosi di torbide collusioni, coltivate nel frattempo.
Tutto ciò provocò un processo penale contro Martinez per "intelligenza col nemico" (quasi che egli fosse un cittadino francese!) presso la Corte di Giustizia di Grasse (un Tribunale eccezionale istituito per processi sommari).
A.3 .- Questa Corte, senza espletare indagini, condannò Martinez senza prove e in contumacia, a 20 anni di lavori forzati, alla confisca di tutti i beni, e alla indegnità nazionale (dimenticando, a conferma della superficialità della decisione, che egli non era francese). Una condanna molto pesante che, come tale, avrebbe dovuto essere confortata da una mole imponente di acvcertamenti e di riscontri.
Martinez non è citato, nonostante che la sua residenza provvisoria in Italia sia ben nota (Martinez, appena arrivato a Milano, aveva subito segnalato al Consolato francese il suo indirizzo in Italia) tanto che, come vedremo, agenti francesi vi si recarono a colpo sicuro per sequestrarlo.
La confisca riguarda sopratutto l'albergo, del quale il Bertagna sottolinea essere il Martinez unico proprietario. Punto rilevante per gli sviluppi della vicenda.
A.4 - Rimandiamo le considerazioni che merita questa sentenza, per limitarci qui ad osservare che ai giudici di Grasse l'accusa di superficialità sarebbe stata evitata ove avessero semplicemente considerato che Martinez, come cittadino italiano, non poteva comunque essere passibile di condanna per collaborazionismo con una potenza all'epoca alleata dell'Italia.
Questa sentenza però consentiva di realizzare gli obiettivi di coloro che avevano messo gli occhi sul patrimonio Martinez: la proscrizione del legittimo proprietario, e la confisca dei suoi beni.
Il Demanio francese, nominato sequestratario dei beni, benché non autorizzato alla loro gestione, incarica l'ambiguo Bertagna della direzione dell'albergo, assecondando così le aspirazioni di costui.
Emergerà in seguito l'esistenza di una collusione delittuosa fra il Bertagna e alcuni dirigenti del Demanio, che verranno processati per peculato e distrazione di fondi. Riuscirà invece inspiegabilmente a salvarsi il Bertagna.
A.5 - Quest'ultimo, nel prosieguo, avvedutosi della fragilità della decisione di condanna di Martinez, si reca dal Procuratore di Grasse per dichiarare il contrario di quanto aveva sostenuto per far sequestrare l'albergo ad un nemico della Francia.
Afferma infatti di aver scoperto che Martinez ha venduto le azioni dell'albergo a un certo Skolnikoff, notissimo collaborazionista del periodo bellico, ricercato dalle forze dell'ordine e già condannato dal Comitato dei Profitti Illeciti ad una confisca di FF. 1.904 milioni e ad una ammenda di FF.2.000 milioni.
A. 6 - Necessario, a questo punto, fornire qualche ragguaglio sulla persona di questo Mendel, detto Michel, Skolnikoff.
Era costui un fuoriuscito polacco (o russo, secondo alcuni), espatriato in Francia per motivi politici, in quanto ebreo.
Allo scoppio delle ostilità, lo troviamo titolare di un modesto commercio di tessili. Ad occupazione della Francia avvenuta, ebbe dapprima rapporti difficili con le autorità germaniche, cui seppe peraltro in breve tempo rendersi grato fornendo ai loro servizi di sussistenza ciò di cui avevano difficoltà a rifornirsi.
Si propose infatti come intermediario tra i grandi fabbricanti francesi di tessuti (tra cui i notissimi Bussac ed i Gillet) ed i richiamati servizi, arrivando col tempo a vendere migliaia di chilometri di tessuti, ed intascando così ingenti somme di commissione.
Per investire questo denaro lo Skolnikoff, con il consiglio e l'aiuto di un certo Bouquet de Chaux, Presidente dell'Ordine dei notai, acquistò i diritti ipotecari spettanti agli istituti di credito fondiario, che si trovavano in condizioni fallimentari in quanto, a seguito degli eventi bellici, i beneficiari dei mutui non potevano più pagare le rate. Per tal via, riuscì ad acquisire facilmente un patrimonio immobiliare vastissimo.
A Parigi acquistò l'Hotel de Paris, a Nizza gli alberghi Ruhl, Plaza, Savoy, du Quins, Grand Palais, ecc. A Montecarlo fece suoi l'Hotel du Littoral, du Helder, du Louvre, il Mirabeau, l'Hotel de Paris, nonché diverse unità immobiliari abitative.
In effetti, con la crisi del turismo per effetto della guerra, il settore alberghiero risultava tra i più colpiti e quello perciò con maggiori difficoltà a fronteggiare i debiti ipotecari contratti. Non mancò, comunque, di acquisire anche diverse imprese manufatturiere.
Skolnikoff, con queste vaste acquisizioni alberghiere, pensò di avvalersi del migliore albergatore dell'epoca: Martinez.
Tramite il Bertagna, inviò così a Martinez un proprio collaboratore, certo Blanchet, offrendogli la direzione di una Holding ricomprendente tutti i suoi alberghi ed offrendosi anche, per invogliarlo, di acquistare altresì il suo albergo di Cannes.
Martinez, del tutto contrario a vendere la sua creatura, rifiutò, proponendo invece allo Skolnikoff di rilevare un suo credito personale verso la SGHC di FF. 20 milioni. Skolnikoff, per ingraziarsi Martinez, accettò, nell'intesa che i contatti per la progettata holding sarebbero ripresi dopo la fine della guerra.
A. 7. - Ai primi mesi del 1944, apparendo prossima la fine delle ostilità, Skolnikoff si rifugia a Madrid, dopo aver convertito alcune proprietà in pietre preziose.
La Francia ne chiede l'immediata estradizione, ma si scontra con il rifiuto del governo franchista, che chiede prove esplicite dei pretesi crimini di Skolnikoff.
Parigi decide allora di inviare a Madrid, appoggiandoli addirittura alla propria
Ambasciata, 5 agenti dei servizi, al fine di sequestrare lo Skolnikoff e portarlo in Francia.
Qualcuno mette in guardia lo Skolnikoff, che vive nella città con il fratello.
Ma il piano dei francesi è malizioso. Si servono di una persona insospettabile, un certo Kotz, il quale, presentandosi come titolare di una agenzia immobiliare, contatta Skolnikoff, che era in cerca di una abitazione, per offrirgli una villetta in affitto.
Skolnikoff abbocca: decide di visitare la villetta e, il 10 giugno 1945, vi si reca con Kotz, cadendo nella trappola. Nella casa sono nascosti quattro dei cinque agenti francesi. Nasce una rissa e Skolnikoff, percosso violentemente con il calcio di una pistola, cade a terra privo di sensi.
Le sue condizioni appaiono gravi ma, ciononostante, l'aggredito è tenuto tutta la notte nella villetta, accuratamente chiusa per dare l'impressione di essere vuota. Al termine della notte, gli agenti si avvedono che il pover'uomo è morto.
Prima ancora dell'alba, caricano il cadavere su di un'automobile (che risulterà appartenere all'ambasciata francese di Madrid) e prendono la strada della frontiera verso Irun, con un'altra auto al seguito.
Giunti al trentaduesimo chilometro, in aperta campagna, spingono la macchina sotto un ponte, cospargono corpo e auto di benzina, vi danno fuoco, e fuggono con la seconda auto.
Ma un contadino, passando sulla strada, vede il fumo uscire da sotto il ponte e avverte la Guardia Civil. I gendarmi intervenuti spengono l'incendio, recuperano il cadavere di Skolnikoff ancora integro, e fanno eseguire una autopsia che accerta la causa del decesso in una frattura del cranio.
L'identificazione di Skolnikoff (che si voleva evitare con l'incendio), è effettuata dal fratello che, insospettito per la lunga assenza, ne aveva segnalato la scomparsa alla Polizia.
Quest'ultima, che già teneva sotto sorveglianza i quattro dal momento del loro arrivo a Madrid, li arresta immediatamente, mentre il quinto, il capo, riesce a riparare nei locali dell'Ambasciata.
Deferiti alla Corte d'Assise di Madrid per omicidio aggravato, i quattro agenti sono costretti a confessare e vengono condannati a morte.
Prima della esecuzione della condanna, il governo di Parigi propone allora un baratto a Madrid. Se la Spagna restituirà i quattro agenti, e darà via libera al quinto riparato nell'ambasciata, la Francia consegnerà in cambio tre rifugiati politici spagnoli, tre repubblicani considerati pericolosi dal regime di Franco e già da costui richiesti alla Francia.
L'infame baratto viene accettato. Gli agenti francesi rientrano a Parigi. I tre repubblicani sono consegnati a Franco. Un mese dopo, uno di essi, Christo Garcia, verrà fucilato a Madrid.
A. 8. - Conclusa la triste vicenda Skolnikoff, torniamo ora a Martinez ed alla seconda denuncia del Bertagna, per la quale l'hotel era stato venduto proprio allo Skolnikoff subito prima che questi rifugiasse in Spagna.
Il piano criminoso contro Martinez prende una diversa direzione e si amplia. Bertagna ha lavorato per anni a Parigi e vi ha degli amici.
Di fatto, succede che la sua denuncia al Procuratore di Grasse, offre lo spunto, al Comitato delle confische DI PARIGI, di dichiarare Martinez solidalmente responsabile con Skolnikoff al pagamento della confisca e della ammenda poste a carico di quest'ultimo.
Avviene a questo punto che la società dei Grands Hotels di Cannes (SGHC), anch'essa condannata alla solidarietà, propone appello e ricorre al Consiglio Superiore dei Profitti Illeciti, per ottenere lo svincolo (!) dalla solidarietà con Skolnikoff. Ciò che è strano, e lo vedremo in dettaglio più oltre, è che tale iniziativa è assunta dal Demanio, che ha sotto sequestro i beni della SGHC e che si presenta quale rappresentante (!).
Il Consiglio Superiore respinge la domanda motivando che "risulta" (ma non si dice in base a quali evidenze probatorie) che la SGHC era, " di fatto o di diritto" (sic), amministrata da Skolnikoff. Tale affermazione è assolutamente fantasiosa, e infatti non ne viene fornita nessuna prova.
A. 9. - Sorprende innanzitutto che si sia incorsi in un elementare e grossolano errore logico. Se Tizio vende un suo bene ad un terzo, nessun rilievo ha che quest'ultimo sia una persona onesta o un delinquente. Se l'acquirente è un mascalzone, ciò non dà in nessun caso motivo per condannare Tizio alle stesse pene comminate eventualmente all'acquirente. La decisione del Consiglio delle Confische non ha palesemente alcun fondamento di buon senso.
Rileviamo altresì un monumentale errore giuridico.
Quando si afferma che la società intestataria dell'albergo è di proprietà dello Skolnikoff, (pur senza darne la minima prova), automaticamente si esclude ogni concetto di solidarietà con... il proprietario dell'albergo. Se appartiene a Skolnikoff, l'Albergo potrà essere sequestrato come bene appartenente a quest'ultimo, ma non per solidarietà con questo medesimo, concetto che ovviamente presuppone una corresponsabilità tra soggetti distinti e separati.
In questa rimarchevole confusione logica e giuridica, è ancora da sottolineare qualche episodio poco limpido.
Il Comitato Dipartimentale dei Profitti Illeciti pronuncia la sua condanna contro Martinez, non solo senza citarlo né ascoltarlo, o anche solo informarlo, ma addirittura senza effettuare l'indagine - pur esplicitamente prevista nella Ordinanza 18. X. 44 (sulla confisca dei profitti illeciti) - circa l'origine del patrimonio dello stesso Martinez e sulla sua eventuale crescita illecita dal 1939 al 1945, periodo entro il quale detti i profitti DEBBONO tassativamente essere stati realizzati.
I profitti illeciti quindi, possono essere solo di Skolnikoff, e infatti Martinez è condannato alla SOLIDARIETA' con costui, non per averli conseguiti personalmente. Ma questa condanna si scontra sia con la presunta vendita, sia con l'intrinseca contraddizione di dichiarare una solidarietà tra la società titolare dell'albergo ed il suo proprietario.
Per non farsi mancare nulla, il Comitato infatti condanna anche la SGHC alla solidarietà con lo Skolnikoff.
Il presidente della SGHC, il prefetto onorario M. Gaillard, non viene neppure considerato, quasi non esistesse.
Ma lascia poi veramente perplessi che si voglia rendere responsabile una società di un atto che il suo rappresentante legale non ha commesso. Ed ancor più se si considera che trattasi di un reato, cioè di un atto con rilevanza penale che, come tale, è strettamente personale.
Come si è sopra accennato, è peraltro ancora più sconcertante che il Demanio, ovvero il titolare del sequestro, si premuri subito di ricorrere al Consiglio Superiore dei Profitti Illeciti contro l'atto di sequestro dei beni della SGHC e di Martinez, (entrambi ancora completamente all'oscuro di tutto).
Trascurando l'impedimento dirimente per il quale il Demanio non ha alcun titolo per rappresentare i soggetti sequestrati, il Consiglio Superiore conferma il sequestro, respingendo la domanda del Demanio.
E questo era evidentemente il risultato che si voleva raggiungere, anche calpestando logica e diritto. In tal modo infatti, sia Martinez sia la SGHC, vengono condannati in via DEFINITIVA, essendo esauriti i due gradi di giurisdizione previsti. Nessuno si preoccupa che i condannati, neppure informati di ciò che stava accadendo, non abbiano avuto nessuna possibilità di difendersi.
Ma questo è il risultato che evidentemente si voleva.
A. 10. - Facciamo ora un passo indietro e torniamo alle vicissitudini sofferte dal povero Martinez.
Sulla base della infamante condanna della Corte di Grasse, la Francia chiede all'Italia l'estradizione di Martinez. Ma questa non può essere concessa sulla base delle deboli motivazioni addotte.
Come per Skolnikoff, partono allora dalla Francia due agenti dello S.D.E.C. (Service de Documentation Extérieure et de Contre-Espionnage), di nome Lupatelli e Vineis i quali, già informati dell'indirizzo di Martinez a Milano (indirizzo che questi stesso si era subito premurato di segnalare al Consolato francese della città, per essere informato del ritorno alla normalità a Cannes), vi si recano e lo sequestrano sotto la minaccia delle armi, e quindi lo rinchiudono in una cantina di uno stabile di via Vigezio. Nell'occasione, dopo avergli sottratto dalle tasche 150.000 franchi francesi, lo costringono a consegnare loro anche i gioielli della moglie (dell'ingente valore di circa 30 milioni di lire dell'epoca).
A. 11.- Il Ministero del Tesoro francese, qualche anno dopo chiederà al Tribunale di Nizza (dove erano depositati sotto sequestro a seguito della denuncia presentata da Martinez) che i gioielli in questione siano venduti.
Venuto a conoscenza della cosa, Martinez interessava la propria ambasciata che chiedeva l'immediata restituzione dei gioielli, sottolineando la propria sorpresa nel constatare come l'amministrazione francese potesse chiedere l'assegnazione di beni di cui era nota l'acquisizione illegale. Rilevava ancora la stessa Ambasciata che i gioielli in questione erano stati rubati addirittura anteriormente alla pronuncia di sequestro del Comitato di Confisca (cui il richiamato Dicastero pretendeva di fare riferimento) e sottolineava inoltre che essi erano di proprietà della moglie di Martinez, non interessata al provvedimento.
Solo dopo interminabili dispute giudiziarie, questi gioielli saranno finalmente restituiti alla proprietaria. Molti di essi tuttavia mancavano (determinante l'assenza di qualunque verbale della appropriazione) e, in alcuni casi, le pietre di maggior valore erano state sostituite con fondi di bicchiere.
A. 12. - Ma torniamo a Martinez. Rinchiuso nella cantina, egli solleva vibrate proteste, ma gli si impone il silenzio con la minaccia di una raffica di mitra. Dopo qualche giorno, egli riesce tuttavia in modo rocambolesco a far pervenire alla moglie un bigliettino con l'indirizzo del luogo ove si trova.
La Polizia italiana interviene immediatamente e lo libera. Allora i due sicari, (divenuti improvvisamente gentili), gli promettono di "riportarlo in Francia per chiarire la sua posizione e restituire i gioielli della moglie".
Martinez peraltro, informato di episodi recenti, nei quali il soggetto riaccompagnato in Francia era stato assassinato per " tentativo di fuga ", intuisce un progetto delittuoso nei suoi confronti, anche perché gli agenti escludono di condurre anche la moglie. Chiede allora la protezione delle forze dell'ordine e si reca a Roma, dove viene ospitato da amici.
L'amministrazione francese, tuttavia, cui Martinez aveva ufficialmente domandato spiegazioni circa il sequestro subito, per giustificare in qualche modo il comportamento dei suoi agenti, ne chiedeva alle Autorità italiane l'arresto e poi la deportazione in Francia. Accertata l'inconsistenza delle imputazioni, Martinez peraltro viene formalmente posto sotto protezione.
Martinez, rimasto privo di mezzi di sussistenza, deve trovare lavoro. Grazie alla notorietà acquisita, gli viene offerta la direzione di un importante gruppo alberghiero a Londra. Egli accetta e vi si trasferisce con la moglie. Tormentato tuttavia dalla condanna a suo carico pronunciata dal Tribunale di Grasse, il 16 maggio 1949, conscio del proprio buon diritto e sotto la protezione del governo inglese, si presenta alla Corte di Giustizia di Lione chiedendo la reiterazione del processo a suo carico.
Nell'occasione esibisce tra l'altro numerose attestazioni di stima e riconoscenza delle tante persone da lui soccorse durante la guerra, tra le quali il sindaco di Strasburgo, che si presenta anche a testimoniare a suo favore.
La Corte, esaminati i fatti, non può che annullare la condanna di Grasse, assolvendo Martinez con formula piena e condannando lo Stato francese alle spese del processo.
Martinez può ora tornare a Cannes. Per scongiurare questo pericolo, il famigerato Bertagna si rivolge al Prefetto delle Alpi Marittime sostenendo che la presenza di Martinez a Cannes può creare....problemi di ordine pubblico (!) Inspiegabilmente, il Prefetto (ma è probabile l'intervento di qualche Autorità sovraordinata) lo ascolta ed emana un decreto che interdice a Martinez l'accesso a tutto il territorio del Dipartimento, impedendogli così di fatto una appropriata difesa dei propri interessi. Inutile rilevare come questo editto evidenzi solidi legami tra il Bertagna e l'amministrazione francese.
Comunque, questo provvedimento rimarrà in vigore fino al 1952.
A. 13. - Ormai informato dello stato delle cose, Martinez chiede la revisione del provvedimento di confisca, alla luce della assoluzione della corte di Lione e dimostrando di essere in possesso di tutte le azioni dell'albergo.
Il 10 giugno del 1953, il Consiglio Superiore respinge il ricorso, affermando che le circostanze sopracitate "non rappresentano fatti nuovi".
Viene così ribadita la pronuncia di condanna alla solidarietà con Skolnikoff. E ciò, nonostante che Martinez sia stato dichiarato innocente dalle accuse portate contro di lui (tra l'altro, da una sola persona) ed a dispetto della dimostrazione che egli non ha venduto una sola azione a Skolnikoff.
È evidente la presenza di un preciso piano contro Martinez: per l'amministrazione egli deve essere condannato.
Il 24 febbraio 1949, il direttore del Demanio chiede al Tribunale di Grasse di essere autorizzato a continuare nella gestione dell'Hotel Martinez.
In realtà nessuna autorizzazione era mai stata concessa neppure per iniziare tale gestione, che era stata posta in essere quindi in modo del tutto illegale.
A. 14. - Nel frattempo, l'ambiguo accusatore Bertagna, è diventato l'uomo di fiducia del Demanio, che lo nomina direttore dell'albergo sequestrato.
Si tratta tuttavia di un losco individuo, come ampiamente evidenziato dalle false denunce, e dalle contradditorie dichiarazioni rese alla Corte di Giustizia di Grasse ("Martinez è proprietario dell'Albergo") e, poco dopo, al Procuratore della Repubblica di Grasse ("Martinez ha venduto le sue azioni a Skolnikoff che, allo stato, è il proprietario dell'Albergo").
L'amministrazione è altresì al corrente che egli si è appropriato dell'importante somma di danaro lasciatagli da Martinez, nonché di titoli, valori e preziosi di proprietà di quest'ultimo (sottraendoli, fra l'altro, al sequestro, cioè proprio al Demanio). Martinez, infatti, ha presentato denuncia per questi furti alla giustizia francese.
Quest'ultima peraltro assolverà il Bertagna affermando:" il sequestrato non ha diritto di proprietà sui beni sequestrati e quindi non può lamentare atti lesivi del suo diritto su tali beni". Affermazione assolutamente sconcertante, in fatto e in diritto.
Martinez aveva presentato denuncia per furto proprio perché questi beni... non erano stati sequestrati, ed erano semplicemente scomparsi!
Inoltre, in ulteriore contraddizione con quanto dichiarato al Procuratore di Grasse, il Bertagna affermerà, in una lettera al Presidente Gaillard, di "non conoscere il contenuto degli accordi fra il 'nostro amico' e Skolnikoff".
Nonostante questi reati e queste ambiguità, il Bertagna è autorizzato a mantenere (fino al subentro nella gestione del gruppo Concorde nel 1974) la direzione dell'albergo per conto del Demanio francese.
Ciò che appare ancor più sorprendente è che tale incarico resiste anche al processo per peculato di cui si è fatto cenno e che pure travolge alcuni Funzionari del Demanio.
Ancora più sorprendente, ed anzi del tutto scandaloso, è che al Bertagna viene concessa un'alta onorificenza: addirittura la Légion d'Honneur. Evidentemente per i meriti acquisiti consentendo allo Stato di appropriarsi dell'albergo Martinez...
Forse, una certa rilevanza in tutto ciò assume il fatto che l'albergo Martinez, durante tutto il periodo del sequestro, grazie alla sollecitudine del Bertagna, è stato il luogo privilegiato per le vacanze dei funzionari dell'amministrazione delle Finanze.
Nel frattempo, l'immensa fortuna sequestrata allo Skolnikoff è rapidamente venduta a prezzi ridicoli a soggetti che appaiono direttamente legati ad esponenti della medesima amministrazione.
Nessuna inchiesta peraltro è mai stata avviata in proposito, nonostante le numerose denunce e segnalazioni.
Parimenti, nessun controllo è svolto sulla direzione dell'albergo effettuata dal Bertagna, dalla quale non derivano profitti. Egli può altresì assumere liberamente parenti ed amici ed ospitare gratuitamente i personaggi dei cui favori abbisogna.
Come risultato pratico, il Bertagna, che quando fu assunto da Martinez "possedeva i soli i calzoni che indossava", al momento di lasciare la direzione dell'albergo, risulta titolare di un cospicuo patrimonio.
L'amministrazione non vede, o finge di non vedere, ovvero, piuttosto, ha convenienza a non vedere. Ma, non a caso, risulterà più tardi che la gestione dell'albergo ha fruttato allo Stato delle somme irrisorie e palesemente non credibili.
A. 15. - Martinez non può ovviamente accettare la sentenza del Consiglio Superiore sopra citata e ricorre al Consiglio di Stato per l'insufficiente motivazione ("non si tratta di fatti nuovi...").
Questo Consesso, il 2 maggio 1957, pur ammettendo che il Consiglio superiore era incorso nell'errore di ritenere che Martinez avesse venduto le azioni, argomenta che tale disguido non è rilevante ai fini della decisione assunta, e respinge perciò il ricorso, trascurando però una circostanza essenziale e cioé che la dichiarazione di solidarietà con lo Skolnikoff si basava proprio sulla ipotizzata vendita a quest'ultimo delle azioni.
Sulla base dunque di una presunta carenza procedurale, per la quale Martinez "avrebbe dovuto produrre la prova del possesso azionario davanti al Comitato delle Confische" (dinnanzi al quale tuttavia era ben noto che egli non solo non era stato ritualmente citato, ma non ne era stato neppure informato), il malcapitato, del tutto innocente delle accuse mosse ad arte contro di lui, per effetto della cosa giudicata conseguente alla impossibilità di ulteriori gravami, risulta definitivamente ed irrevocabilmente condannato alla solidarietà con Skolnikoff ed alla conferma del sequestro dei suoi beni.
Con queste pesanti forzature, giunge al suo coronamento il complotto orchestrato contro Martinez in modo pur rozzo e grossolano.
A. 16. - Martinez, peraltro, non può rassegnarsi a subire una così clamorosa ingiustizia e sollecita l'intervento del governo italiano.
Le numerose e continue pressioni della diplomazia italiana e le incessanti istanze personali di Martinez ad ogni livello istituzionale, sembrano infine poter sbloccare la situazione.
Nel 1966, il ministro delle Finanze Michel Debré, si dichiara disposto a restituire l'albergo al suo proprietario.
Ma anche questa volta gli artefici del complotto riescono ad impedire che la giustizia abbia corso. Il capo del contenzioso diplomatico francese, Guinard, informa il notaio Laboureix (incaricato della successione Skolnikoff) della prossima restituzione dell'albergo Martinez. Costui sollecita allora uno dei solidali del sequestro Skolnikoff, certo Petit Nouvellon, a denunciare Martinez per "sottrazione delle azioni" (!!!).
A. 17. - La denuncia viene presentata.
In essa si sostiene che, essendo stato Martinez condannato per aver venduto le sue azioni a Skolnikoff, egli poteva risultarne detentore solo per sottrazione o abuso di fiducia. Al Petit Nouvellon si associerà più tardi uno degli eredi Skolnikoff, sostenendo che il defalco dal sequestro dell'hotel Martinez reca pregiudizio ai co-solidali.
L'iniziativa è assunta in completa malafede, poiché Martinez aveva appena dimostrato di non aver venduto le sue azioni a chicchessia, esibendo anche l'accordo intercorso con lo Skolnikoff.
Ma la denuncia ha due scopi maliziosi.
Il primo, immediato, è quello di bloccare la restituzione dell'albergo, sollevando della confusione intorno alla proprietà delle azioni.
Il secondo, assai più maligno, punta al decesso dello sfortunato Martinez, ormai molto anziano.
Al momento della presentazione della denuncia, Martinez infatti ha ben 81 anni. Se egli dovesse morire prima che il processo penale sia rimesso a sentenza, l'albergo non potrebbe mai più rientrare nel suo patrimonio e i malfattori avrebbero partita vinta.
L'inizio della procedura penale in effetti sospende la pratica diplomatica della restituzione: Debré fa marcia indietro ed il primo obbiettivo è raggiunto.
Quanto al secondo, succede che il processo, del tutto inusualmente, si trascini per oltre 7 anni, durante i quali si lamenta addirittura, ad un certo punto, la sparizione del fascicolo degli atti processuali. Nonostante la relativa semplicità dell'indagine da svolgere, il tempo scorre misteriosamente.
Però Martinez, nonostante le durissime prove subite, non ha nessuna intenzione di passare a miglior vita, ed il processo penale deve concludersi il 30 aprile 1974 con sentenza della Corte di Cassazione.
Questa, assolve con formula piena l'imputato, attestando che: " non è stata acquisita la prova della vendita delle azioni da Emanuele Martinez a Skolnikoff".
Finalmente, in questa confusa e travagliata vicenda, interviene una pronuncia giudiziale che ufficialmente accerta che Martinez è stato condannato a torto.
Parrebbe naturale attendersi, ora, una ripresa dei contatti diplomatici per portare a compimento la restituzione. In tal senso si attiva il ministero degli Esteri italiano.
A. 18. - Ed invece l'amministrazione francese coglie tutti di sorpresa affidando improvvisamente la gestione dell'albergo alla società Concorde del gruppo Taittinger. È il primo marzo del 1974: non si è davvero perso tempo.
A quanto risulta, all'epoca, il signor Jean Taittinger, già segretario di Stato alle Finanze (e, in tale posizione, ottimo conoscitore di tutta la vicenda Martinez), era Ministro Guardasigilli (!).
Molto noti (e chiacchierati) i rapporti intercorrenti tra una componente della famiglia Taittinger e l'allora Primo Ministro Giscard d'Estaing.
Senza alcun riscontro rimangono le proteste formulate a proposito di questo affidamento, (essendo scomparso Emanuele Martinez), dalla di lui moglie ed erede, Ester Rossini Martinez.
Cedeva infatti la pur indomita fibra di Emanuele Martinez. Dopo una vita di duro impegno sul lavoro e, poi, di disperata lotta per difenderne le difficili conquiste, doveva chiudere gli occhi nella più completa povertà e nella profonda amarezza dell'incredibile sopruso subito.
A. 19. - Nel giugno del 1977 la Sig.a Martinez riceve dallo Stato francese una ridicola e offensiva proposta transattiva di ... cinque milioni di franchi.
Allo Stato francese erano ben note le gravi ristrettezze economiche della Sig.a Martinez e su queste evidentemente faceva conto per chiudere la fastidiosa pratica.
Identica proposta verrà reiterata negli stessi termini (a dispetto della svalutazione monetaria frattanto verificatasi), anche nel 1982.
Si tratta di una offerta che non evidenzia né serietà, né correttezza: è appena successiva, nel tempo, alla sentenza della Cassazione francese (1974) che ha dovuto dichiarare che Martinez non ha venduto neppure una azione a Skolnikoff.
Una decisione che ha smentito il pretesto sul quale lo Stato francese aveva costruito tutta la montatura del sequestro dell'albergo e di tutti i beni di Martinez (sui quali ultimi si è preferito stendere il totale oblio).
Questa "offerta" forniva comunque lo spunto per l'apertura di ulteriori contatti tra la diplomazia italiana e quella francese.
A. 20. - Malgrado l'esistenza di questa trattativa, e quindi in contrasto con basilari regole di correttezza nelle relazioni internazionali, l'amministrazione delle Finanze francese inserisce inopinatamente nella legge di bilancio del 1979 un inedito articoletto che dispone l'attribuzione allo Stato francese dell'Hotel Martinez, a titolo di "DATION EN PAIEMENT" .
Una illiceità di dimensione stupefacente.
Il potere pubblico viene esercitato al di fuori del sistema di regole dell'ordinamento di uno Stato di Diritto, il cui principio di base lo ESCLUDE dai rapporti di diritto privato, quali le relazioni di debito/credito.
Un atto al di fuori dei principi e delle regole più basilari del Diritto. Un assoluto sopruso che calpesta millenarie garanzie di civiltà giuridica poste a freno dell'arbitrio del potere, a tutela dei diritti elementari del privato cittadino.
Un gesto forse proprio, oggi, del dittatorello nordcoreano Kim Jong-un.
Tralasciamo la circostanza, qui del tutto secondaria, che nessun documento viene esibito a supporto della disposizione.
I fondamenti universali del Diritto (ed anche le norme dell'ordinamento giuridico francese) prescrivono che l'esecuzione forzata di un diritto di credito debba essere effettuata, per elementare principio di tutela giuridica, dalla Autorità Giudiziaria, cioè da un soggetto terzo, rispetto alle parti.
L'esecuzione presuppone altresì che il credito sia certo e determinato nell'ammontare, cioè liquido e che sia esigibile.
Ed è sempre l'Autorità Giudiziaria che è esclusivamente competente, in uno Stato di Diritto, a stabilire se un credito esiste (verificandone, tra l'altro, il titolo, cioè il fondamento) e quale ne sia l' ammontare.
Nel nostro caso si opera totalmente al di fuori del mondo del Diritto e dei suoi canoni e principi.
Qui è lo Stato, cioè una delle parti, che - autonomamente - si autoproclama creditore.
Non solo. Attesta altresì che questo presunto credito è liquido (però, altra contraddizione in termini), non ne dichiara l'ammontare.
Non basta: il sé dicente "creditore", provvede direttamente alla riscossione forzosa del "credito" autodichiarato. Sempre senza dichiararne l'importo.
Tutto ciò si chiama abuso di potere. E anche piuttosto grossolano.
Ricordiamo che nessun Magistrato ha mai accertato un qualunque debito di Martinez nei confronti dello Stato.
Al contrario, la Cassazione ha appena stabilito che nessun rapporto d'affari è intercorso tra Martinez e Skolnikoff.
Cioé, il pretesto della solidarietà fra i due è del tutto INSUSSISTENTE.
Lo Stato francese commette quindi, consapevolmente, un indecente ABUSO, sottraendo a Martinez l'albergo di Cannes: un furto in piena regola, indegno di uno Stato di diritto, quale pretende di essere la Francia.
Ma la situazione è ancor più paradossale perché, anche a voler tenere assurdamente valida la pretesa solidarietà, il fantomatico debito, conti alla mano, sarebbe comunque ESTINTO.
Ha dichiarato infatti il Direttore Generale delle Imposte, interrogato dal Commissario di Polizia Petit, che "allo stato (1973), il debito Skolnikoff/Martinez è da considerare ampiamente estinto" (la dichiarazione trovasi negli atti del processo penale concluso nel 1974).
E' altresì del tutto paradossale che lo Stato si dichiari creditore di Martinez nel 1979, quando i conti del sequestro vengono conosciuti e presentati nel 1991 !!!
Lo Stato francese opera quindi in totale malafede, anche se fa orrore doverlo constatare. Ed inutili sono le segnalazioni che la Sig.ra Martinez si premura di effettuare al Parlamento francese, dove la sua indignata protesta rimane senza risposta.
E' ovvio poi che lo Stato avrebbe dovuto chiedere alla Magistratura l'autorizzazione per vendere un bene sotto sequestro. Ma per far ciò, avrebbe dovuto dimostrare l'esistenza di un credito. Sapendo di non poterlo fare, ha fatto ricorso all'abuso della legge finanziaria, contro la quale un privato non ha difese.
A. 21. - Nel 1980, un anno dopo la famigerata legge finanziaria, l'Hotel Martinez è "venduto" con un'asta farsesca, proprio alla Società Concorde-Taittinger, che già - come si è visto - ne aveva frattanto acquisito la gestione.
Il prezzo della apparente asta è di 40 milioni di FF. (cui verranno più tardi aggiunti altri 25 per l'avviamento e l'impresa alberghiera).
Per valutare quanto sia ridicolmente inadeguato tale prezzo, si consideri che l'immobile insiste su un'area di mq. 10.326. Si sviluppa su sette piani (oltre seminterrato e fondi). Dispone anche di ampia spiaggia privata (che non è neppure citata nel capitolato d'asta!).
In definitiva, tralasciando il regalo della spiaggia, viene pagato circa 1000 franchi al metro quadrato. Una cifra irrisoria per un immobile di lusso sulla Croisette di Cannes.
Se poi si considera il valore effettivo dell'impresa alberghiera, il cui giro d'affari annuo si aggirava all'epoca intorno ai 140 milioni di franchi, si acquisisce la dimensione del dono fatto ai Taittinger.
A. 22. - Venduto il bene, decade automaticamente il sequestro e la Sig.ra Martinez cita in giudizio lo Stato per veder almeno riconosciuto il credito a proprio favore risultante dai conti del sequestro.
Inizia allora una kafkiana e paradossale vicenda processuale: per anni la citazione viene respinta perché il Funzionario chiamato in causa in rappresentanza dello Stato, non è mai quello giusto. E quando infine si trova quello che va bene al Magistrato, allora sorgono infinite e defatiganti questioni circa la rappresentanza in giudizio della Società (SGHC) proprietaria formalmente dell'albergo.
Inopinatamente, poi, il Demanio francese, titolare del sequestro, all'insaputa degli interessati, si autonomina ancora rappresentante della SGHC e della Sig.a Martinez, presentando domanda al Giudice affinché stabilisca la somma che il Demanio stesso ... dovrebbe pagare a sé medesimo.
Questa manovra dilatoria blocca ogni domanda della Sig.a Martinez, che è costretta a insistere fino alla Cassazione per far riconoscere dalla Magistratura ciò che è pur evidente anche ad un profano e cioè che, sotto sequestro, non è la SGHC o la stessa Sig.ra Martinez, bensì solo i loro beni e che pertanto non può avere alcun fondamento la pretesa del Demanio di rappresentare in giudizio, oltre a sé stesso anche i proprietari dei beni sequestrati.
Il sospetto che sorge spontaneo di fronte a queste forzature giudiziarie, è che si tratti di un calcolato progetto per esaurire, con le procedure giudiziarie, le notoriamente scarse risorse della Sig.ra Martinez e farla desistere da ogni iniziativa.
A. 23. - Dobbiamo così aspettare fino al 1986 per vedere una pronuncia giudiziaria che liquida il valore dell'esproprio nella somma di FF. 140.251.200.
La cifra appare del tutto inadeguata e risulta basata su di un computo non solo incredibilmente errato e stravagante, ma frutto di artifizi e raggiri.
Innanzitutto, nel calcolo del valore non si tiene in conto dell'esercizio commerciale, (cioé dell'avviamento) che non è neppure considerato, quasi che non di un albergo si tratti ma di un semplice immobile. Non parliamo poi della spiaggia privata, che non riesce a rendersi visibile.
Ma ciò che appare del tutto irragionevole e stravagante è che NON VIENE PRESO IN CONSIDERAZIONE L'EDIFICIO, MA SOLO L'AREA SULLA QUALE E' COSTRUITO.
E dall'importo così calcolato, VENGONO anche DETRATTE LE SPESE DI DEMOLIZIONE !
Il motivo per il quale un magnifico edificio in stile dèco, orgoglio di Cannes e della Costa Azzurra, dovrebbe essere demolito, rimane e rimarrà sempre un mistero. Tanto più che lo Stato, su richiesta della municipalità di Cannes, lo aveva appena allora vincolato per trent'anni all'esercizio dell'attività alberghiera.
Questo espediente di bassa lega consente di abbattere il valore dell'albergo, all'evidente scopo di far risultare che il bilancio del sequestro Martinez/Skolnikoff è passivo.
Peccato, però, che il sequestro, con la sottostante solidarietà, sia comunque del tutto illegittimo e privo di ogni fondamento fin dalla sua origine.
A. 24. - Ma i legali della Sig.ra Martinez (nominati su consiglio di esponenti governativi "amici"...), invece di battersi sulla questione principale, si perdono in domande giudiziarie lunghissime e inutili riguardanti i conti del sequestro, i danni per il ritardo nel presentarli, ecc., incontrando poi ancora, ogni volta, le note difficoltà nella individuazione del rappresentante dello Stato.
Anche qui, spunta una trovata inedita e paradossale. L'amministrazione pretende infatti (v. infra) di calcolare degli interessi per tutto il tempo che trascorre tra il momento del sequestro e quello nel quale si è decisa a vendere i beni, pretendendo così di accollare al sequestrato la propria inerzia... Ma non basta ancora: nel conteggio manca la distinzione tra le imputazioni al capitale e quelle agli interessi, che pur si prescrivono dopo 5 anni: art. 2277 cod.civ..
Nel rendiconto, poi, non vi è cenno neppure dell'importo di 10 milioni di FF. (del 1944), sequestrati sul conto corrente di Martinez presso la Banca Commerciale Italiana di Montecarlo. Egualmente, neppure si parla degli oltre 12 milioni di FF. di crediti personali di Martinez verso la SGHC, per il pagamento da parte di questi di crediti di terzi verso la SGHC.
Da rilevare anche che questi "conti del sequestro" sono solo delle semplici annotazioni, distinte le une dalle altre, assolutamente non qualificabili come un "rendiconto" ufficiale, nè formalmente, nè sostanzialmente.
In questo travagliato iter giudiziario la Sig.ra Martinez riesce comunque a dimostrare che lo Stato, pur (inspiegabilmente) tralasciando la realizzazione del patrimonio di diverse importanti Società e di molti privati coinvolti nel sequestro, ha incassato complessivamente una somma superiore ai 12 miliardi di franchi, risultando quindi assai largamente debitore nei suoi confronti (come già aveva chiarito il Direttore Generale delle Imposte).
Esattamente la situazione giusta per una "DATION EN PAIEMENT" (a favore di Martinez, però).
A. 25. - Lo Stato, allora, per incrementare il suo (inesistente) credito, inventa un escamotage: sostiene che sono dovuti anche gli interessi "moratori" dell'1 per cento al mese, previsti dalla Ordinanza del 1944 sui Profitti Illeciti, a titolo di penale per il ritardo nel pagamento dell'ammenda.
La pretesa è inesistente e perfino infantile: essendo lo Stato nel possesso dei beni sequestrati, non può chiedere gli interessi sul suo ritardo nel venderli (...).
Naturalmente, tutte queste faticose e lunghissime procedure si concludono con un nulla di fatto per la Sig.ra Martinez.
RILIEVI GIURIDICI SPECIFICI
B. Risulta incontestabilmente evidente la precisa volontà dello Stato di appropriarsi con ogni mezzo, lecito o illlecito, dei beni di Martinez.
Il castello di provvedimenti costruito a questo scopo appare altresì, anche sotto il profilo formale, inconsistente e artefatto: la vicenda, se non fosse tragica, sarebbe addirittura esilarante.
1.- Basti solo ricordare che, alla data del provvedimento di condanna di Martinez alla solidarietà con Skolnikoff, quest'ultimo era soltanto "ricercato" e neppure indagato. Nessuna condanna era stata ancora pronunciata a suo carico. Evidente perciò l'impossibilità di condannare qualcuno alla solidarietà ad una pena altrui, che non è stata inflitta (!!!).
Skolnikoff subirà poi due condanne (a morte e alla confisca dei beni), solo dopo che era morto.
Circostanza che doveva determinare, successivamente, l'ovvio annullamento delle due condanne.
E' evidente che tale annullamento comporta automaticamente la nullità anche del sequestro e della confisca. In altri termini, l'atto in base al quale è stato sequestrato l'albergo di Martinez doveva essere dichiarato nullo.
2.- Tutti i provvedimenti assunti contro Martinez, pur avendo carattere penale, sono stati adottati senza citare l'interessato che, pertanto, costretto senza volerlo ad essere contumace, non è stato ascoltato, nè prima nè dopo. Gli elementi concreti di fatto che dovrebbero essere citati a base di tali atti, sono poi del tutto inesistenti. Dalla loro lettura è addirittura "impossibile capire di quale attività illecita si voglia incolpare Martinez" (l'affermazione è del Presidente dell'Ordine degli Avvocati, all'epoca difensore di Martinez).
Il diritto della persona ad un processo giusto, pubblico e trasparente, più che ignorato, è scientemente violato.
3.- L'albergo Martinez viene sequestrato in quanto definito "appartenente a Skolnikoff".
Ma, se appartiene a Skolnikoff, dove sono i "profitti illeciti" per i quali viene condannato Martinez ?? Se è di Skolnikoff, cosa c'entra Martinez?
4.- La condanna alla solidarietà con Skolnikoff è assunta dal Comitato delle Confische di Parigi.
Che, tuttavia, è territorialmente incompetente: la SGHC ha sede a Cannes.
La citazione, poi, manca degli estremi dell'imputazione: elemento essenziale per la validità dell'atto: non è dato sapere di che cosa è accusato il destinatario.
La citazione, inoltre, non è diretta al presunto colpevole (ma direttamente interessato al provvedimento), bensì al Direttore del Demanio (sequestratario dei beni Skolnikoff). Martinez e la SGHC rimangono totalmente all'oscuro e non possono predisporre le proprie difese.
Viene poi condannata penalmente una persona giuridica. Per un reato che il suo rappresentante legale (neppure nominato) non ha certamente commesso e per il quale neppure è considerato.
5.- Annullata la condanna al già deceduto Skolnikoff, essa viene posta a carico dei suoi eredi. Non solo la condanna per profitti illeciti, ma altresì la ammenda che, come tale, postula una condanna penale.
Ora, come è noto, la responsabilità penale non può essere posta a carico degli eredi.
E ancor meno a carico di Martinez, cui è accollata anche l'ammenda, e così, egli è implicitamente "condannato" penalmente per il reato di Skolnikoff.
6.- In diritto civile, Tizio può essere dichiarato "solidale" con Caio soltanto se si accerta che gli può essere addebitato lo stesso comportamento di Caio (cioè se è possibile riferire alla sua sfera giuridica l'identica obbligazione).
Martinez, notoriamente, non ha nulla a che fare con l'attività di Skolnikoff.
7.- Condanna alla solidarietà con Skolnikoff.
Sappiamo che il Demanio (in evidente contrasto di interessi e palese assenza di legittimazione processuale) ricorre contro il provvedimento di sequestro posto a carico della SGHC e di Martinez.
Tuttavia lapalissiano che il Demanio non ha la rappresentanza giudiziale dei soggetti sequestrati.....
Una situazione grottesca e grossolanamente illegittima, ma il cui scopo è evidente: esaurire i due gradi di giurisdizione previsti nella specie di modo che la pronuncia contro Martinez può diventare "cosa giudicata"... ed egli non ha più la possibilità di reclamare.
8.- Come già si è ricordato, il Consiglio Superiore delle Confische, annulla le sanzioni disposte dal Comitato delle Confische a carico del defunto Skolnikoff, ma ne dispone l'applicazione agli eredi di costui.
Con la stessa delibera, Martinez, e la SGHC, vengono dichiarati solidali con costoro.
Si rileva:
- in nessun ordinamento giuridico al mondo un Organo di seconda istanza può pronunciare decisioni di condanna, privando l'interessato della tutela giurisdizionale;
- non rientra nel mondo del Diritto la possibilità di irrogare sanzioni penali a soggetti che non hanno commesso il reato;
- il ricorso al Consiglio Superiore è effettuato dal Direttore del Demanio, il quale non ha nessun titolo (evidentemente !) a rappresentare Martinez.
9.- Come abbiamo visto, Martinez, sotto la protezione del Governo inglese, viene assolto, il 16.5.49, da ogni accusa dalla Corte di Lione. Finalmente informato dei provvedimenti a suo carico, propone "ricorso in revisione" (alla Giurisdizione speciale delle Confische e, poi, al Consiglio di Stato), sostenendo che sono intervenuti "elementi nuovi": la assoluzione della Corte di Lione e la prova documentale (un verbale notarile di constato di possesso delle azioni) che egli non ha venduto le azioni della SGHC.
Ma il Comitato prima e, quindi, il Consiglio di Stato, sbrigativamente affermano che i fatti indicati "non rappresentano fatti nuovi". Senza motivazione. E ciò dopo aver statuito, in altra occasione, (sent. 12.3.55, Le Bon) che la semplice dichiarazione del Comitato che la domanda di revisione non apporta elementi nuovi, non costituisce motivazione.
Ora, come è noto, la motivazione costituisce elemento essenziale della pronuncia del Magistrato.
Per due motivi.
- Il primo, per esigenze di ragione: deve essere possibile controllare le argomentazioni e l'esattezza delle conclusioni.
- Il secondo, per esigenze di garanzia: la parte interessata ha la possibilità di impugnare il provvedimento che non sia motivato ovvero che contenga motivazioni errate.
Da notare che, in diversa occasione ma in un caso analogo, lo stesso Consiglio di Stato (sent. 3.2.50, S.1950; 3.88) aveva ribadito che Il Comitato deve esaminare la sostanza dei fatti nuovi e pronunciarsi in ordine alla loro idoneità a giustificare una modifica delle decisione precedente.
Insomma, non si discute: la Giustizia è la Giustizia.
Peccato che ciò non valga per Martinez.
10.- Interessa notare che noti e provati complici di Skolnikoff, hanno beneficiato di una dispensa, totale o parziale, della condanna alla solidarietà con quest'ultimo.
Addirittura il braccio destro di Skolnikoff, il notaio Bouquet de Chaux, il suggeritore e organizzatore degli acquisti a vile prezzo delle cedole ipotecarie degli Istituti Fondiari in fallimento, venne gratificato con una "remise gracieuse", che riduce la sua corresponsabilità a tre milioni di vecchi franchi. E ciò quando era provato che i profitti realizzati erano dell'ordine di diversi miliardi.
Anche i costruttori Liébaert, anch'essi solidali con Skolnikoff, pur condannati in via definitiva, beneficiarono di "remise gracieuse".
La magnanimità dello Stato va ai condannati, ma non a Martinez, che è palesemente innocente, come dimostrato dai "fatti nuovi" indicati.
Non a caso il difensore di Martinez doveva esclamare, davanti al Consiglio di Stato: "Ebbene, signori, se volete comunque condannare Martinez, allora vi dico che in Francia la Giustizia non esiste più ".
Appunto.
11.- 1. A titolo quasi folkloristico, si può rilevare che un sequestro, instaurato nel 1944/45, è stato protratto fino al 1981 (anno della "vendita" dell'ultimo bene: l'Hotel Martinez). Trentasette anni. In attesa che Martinez morisse di fame...
Quel Martinez, già insignito di medaglia e Diploma per aver accolto e assistito gratuitamente nei suoi alberghi gli orfani dei militari caduti nella prima Guerra Mondiale.
2. Nel momento in cui lo Stato sequestra un bene, ne diventa ad ogni effetto responsabile, avendone esautorato il proprietario.
Non può quindi invocare scusanti alla propria negligenza nel realizzarlo sul mercato, sia nei tempi, sia nell'effettivo suo valore.
Ciò che conta, pertanto, non è quanto lo Stato ha ricavato dal bene, ma quello che era il valore del bene al momento del sequestro.
L'Amministrazione del Demanio, che ha gestito il sequestro Martinez/Skolnikoff, ha preteso invece di addebitare a Martinez l'enorme ritardo nelle vendite e l'impressionante differenza tra il valore effettivo dei beni ed il prezzo, ridicolmente più basso, incassato (e qui bisognerebbe effettuare una accurata indagine sui soggetti che hanno acquisito i beni e sui loro rapporti con i funzionari del Demanio).
Per principio giuridico elementare, il debito è soddisfatto quando i beni del debitore entrano nella disponibilità del creditore.
Non solo: lo Stato ha acquisito la disponibilità dei beni di Martinez nel 1944, e ne ha goduto i frutti per 49 anni.
Un lasso di tempo sufficiente a raggiungere, con i soli frutti, un importo diverse decine di volte superiore a quello (ingiustamente) addebitatogli.
12.- Nel 1951, con decreto del 14 giugno, la Francia istituisce una Commissione con il potere di annullare o ridurre le penalità inflitte per fatti connessi agli eventi bellici.
Quasi contestualmente, nel febbraio del 1953, intervengono anche specifici accordi in materia tra Italia e Francia. Quest'ultima si impegna ad esaminare favorevolmente le domande di cancellazione di pena per profitti illeciti presentate da cittadini italiani.
Ma la domanda, che Martinez immediatamente presenta, viene respinta (dopo un esame durato TRE anni), in quanto "non è possibile rimettere il credito in presenza di altri coobbligati".
Una canzonatura male architettata:
- La "remise gracieuse" è stata concessa a TUTTI i coobligati con Skolnikoff (ma, naturalmente, non aMartinez).
- Lo stesso Capo del Contenzioso diplomatico francese doveva ammettere, davanti al legale di Martinez, che, per l'art. 1285 del c.c., lo Stato può benissimo rimettere il suo credito "riservandosi espressamente ogni diritto contro gli altri condebitori solidali".
Affermazione lapalissiana. Ma la palese evidenza non esiste per Martinez.
La domanda viene da Martinez reiterata, con accurata motivazione, nel 1957.
Questa volta, non ottiene neppure risposta.
Comprensibile: non esistono infatti giustificazioni possibili per un sopruso arbitrario ed immotivato.
13.- Come si ricorderà, il Ministro Debré, dietro le sollecitazioni del governo italiano, si era dichiarato disponibile a restituire l'albergo.
Immediatamente, viene presentata denuncia penale contro Martinez per possesso illegale delle azioni SGHC: è l'8.9.67. Vi è la prova che i denuncianti intrattengono rapporti con il Capo del contenzioso diplomatico francese, Guinard.
Contrariamente alla normale prassi, il processo si trascina stancamente senza concludersi.
Finalmente, dopo sette anni, il 30.5.74, la Corte di Cassazione dichiara che "non vi sono elementi che provino che Skolnikoff sia mai stato proprietario di azioni della SGHC e quindi non è possibile trarre la convinzione che gli attuali detentori le possiedani illegalmente".
Segue da questa pronuncia che il sequestro dell'albergo e la dichiarazione di solidarietà con Skolnikoff, sono prive di qualunque fondamento.
Incidentalmente, la sentenza accerta che è esclusivamente per le denunce calunniose del Bertagna che Martinez è stato perseguito e condannato. Essa sottolinea anche che "tutti i testimoni hanno fatto deposizioni contraddittorie o hanno formulato dinieghi formali, il teste Bertagna ha fornito risposte imbarazzate".
Nonostante questa decisione, chiara e definitiva, nessun provvedimento viene adottato per rendere giustizia a Martinez.
14.- Al contrario. Con sfacciata impudenza, lo Stato si appropria dell'albergo con la legge finanziaria del 1979. Un atto di imperio che viola il diritto di proprietà di un cittadino privato. Più semplicemente: un colpo di mano banditesco, indegno di uno Stato di Diritto.
- Art. 34 della Costituzione francese: la legge finanziaria è diretta a fissare le entrate e le spese dello Stato. Non a realizzare dei furti.
- La stessa Costituzione prevede che, con una procedura dettagliata e minuziosa, si possano eventualmente realizzare delle espropriazioni (anche se non è questo il caso) solo per causa di pubblica utilità.
Non per causa di utilità privata.
15.- Prima di mettere un bene qualsiasi all'asta, le disposizioni di legge prevedono altresì che il Consiglio di Stato debba approvare la relativa procedura.
Per Martinez, questa prescrizione viene ignorata.
Le norme dispongono anche che il bene oggetto della espropriazione venga preventivamente sottoposto a stima giudiziale, presupposto d'altronde indispensabile e necessario per sapere ciò che si vende.
Trattandosi di Martinez, tale norma non è (ovviamente) applicata: si procede senza una perizia di valore. Poteva infatti rivelarsi imbarazzante conoscere l'effettivo valore di un bene il cui controvalore "addomesticato" era già stato probabilmente fissato sottobanco.
Il Capitolato d'asta redatto per l'occasione prevede che "lo Stato si riserva di trattare con l'amateur (sic) che gli sembra meriti preferenza, tenendo conto non solo del prezzo offerto, ma di tutti gli altri fattori di apprezzamento". Fattori che, naturalmente, non vengono esplicitati e che, nella sostanza si riducono ad uno solo: il totale arbitrio.
E infatti, nonostante alcuni concorrenti siano disposti a corrispondere un prezzo quattro volte superiore, l'albergo è consegnato agli amici Taittinger per quattro soldi (o trenta denari ...?).
Evidentemente, questi concorrenti non erano abbastanza "amateurs".
Da notare che, all'epoca, il valore effettivo di mercato del bene è circa 35 volte maggiore del prezzo di assegnazione.
Trattandosi di una proprietà del sig. Martinez, tutto ciò appare pienamente giustificato.
L'albergo così acquisito dai Taittinger mantiene la denominazione "MARTINEZ", che è ovunque conosciuta e apprezzata. Peccato che si tratti di un nome che, come ditta commerciale, appartiene esclusivamente al sig. Martinez (che potrebbe venderlo o utilizzarlo direttamente) e che viene pertanto utilizzato in modo abusivo.
Naturalmente, anche il ricorso di Martinez ai Giudici amministrativi contro tutte queste illegalità, viene (farraginosamente) respinto.
16.- In questo contesto, nel quale sembra che sia stato creato un sistema normativo speciale, ad usum Martinez, non può mancare neppure l'illecito internazionale.
Con l'accordo bilaterale Italia-Francia, detto Quaroni-Marie del 25.11.47, l'Italia si impegnava a consentire una modifica all'art. 79 del Trattato di Pace, che consentiva alle Potenze alleate di impossessarsi dei beni dei cittadini italiani esistenti sul loro territorio, quale ristoro dei danni di guerra.
La Francia, infatti, voleva impossessarsi dei beni italiani in Tunisia, sui quali non poteva mettere le mani in quanto quest'ultima non era tra le Potenze firmatarie del Trattato di Pace.
L'Italia, con il citato accordo Quaroni-Marie, acconsentì a tale appropriazione (purché dietro adeguato indennizzo agli interessati) ma, come contropartita, chiese la liberazione dei beni italiani esistenti in Francia (peraltro dietro preventivo versamento da parte dello Stato italiano della somma complessiva di 15 miliardi di lire).
Importo che venne regolarmente versato (in aggiunta alla occupazione francese dei territori di Briga e Tenda).
Nell'occasione, venne precisato che dovevano escludersi solo i "beni ed interessi" che fossero stati acquisiti nel periodo intercorrente tra il 10.6.40 ed il febbraio 1946.
La costruzione dell'Hotel Martinez iniziò nel 1927 e terminò nel 1929, quindi si trattava di un "bene" ampiamente al di fuori della previsione di cui sopra.
Tale circostanza venne più volte fatta presente a livello diplomatico, per sollecitare la liberazione dell'Hotel Martinez, ma la Francia rimase sempre evasiva e dilatoria. Da ultimo ha obbiettato che la questione era "nelle mani della Magistratura" (?) e che il principio della separazione dei poteri non le consentiva un intervento.
Peccato però che, per l'accordo di cui si tratta, ogni questione attinente i provvedimenti emessi in Francia in applicazione delle Ordinanze sui profitti illeciti, era sottratta alle pronunce della Magistratura e rimessa ai contatti diplomatici.
17.- E non ci si ferma qui.
Era sorto, negli anni '60, un contenzioso tra Italia e Francia in ordine alla entità degli indennizzi che questa aveva versato per gli espropri dei beni italiani in Tunisia.
Mediante scambio di Note diplomatiche, nel 1966, l'Italia rinunciò a ricorrere ad un arbitrato internazionale a questo riguardo, alla condizione che il patrimonio di Martinez venisse integralmente liberato.
L'arbitrato non ebbe luogo, ma la Francia si tenne egualmente ben stretto il patrimonio di Martinez.
-- 0 --
In conclusione, il riepilogo dei vari momenti, atti, sentenze e decisioni di questa paradossale vicenda, consente di chiarire che non si è trattato, né all'origine, né nel prosieguo, di una - pur incredibile - somma di errori, illegittimità, sviste o spropositi.
Nulla di tutto ciò. E ne è conferma la totale assenza di qualunque anche pallida contrizione, resipiscenza, o volontà riparatoria (salvo che per la ridicola proposta impropriamente definita "transattiva", di cui sopra si è fatto cenno).
In realtà risulta chiaro che, fin dall'origine, vi è stata sempre una pervicace volontà predatoria , maldestramente mascherata.
Un pugno di personaggi senza Dio e senza legge, ha lordato il nome e l'immagine della Francia, utilizzandone il potere sovrano per rubare al povero Martinez il frutto di una dura esistenza, dedicata al più severo impegno. Un indegno insulto al Diritto, a tutta la nazione francese, e ad un uomo di grande rigore morale ed etico.
___ooooo___
18.- In data 27.9.1992, la Sig.a Martinez inoltra ricorso alla Corte europea dei Diritti dell'Uomo di Strasburgo.
Vengono subito riferite dal Corrispondente locale intense manovre di corridoio della Francia per influire sulla scelta dei membri del Collegio giudicante.
Pur di ciò reso edotto, il Rappresentante dell'Italia, assiste passivo ed inerte (del resto: chi è, anzi era, Martinez? una persona senza denaro nè potere...).
In data 24.6.1996, come era prevedibile date le premesse, la Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Interessa, a questo punto, conoscere come la Corte abbia potuto pervenire a siffatta conclusione. E la lettura della decisione lascia sconcertati.
La Corte non considera la domanda presentata e non esamina il fatto che l'ha determinata. Attribuisce alla Sig.a Martinez una doglianza fantasiosa e si dedica ad esaminarne i fatti annessi, autofornendosi così gli strumenti per respingerla.
Stabilisce la Corte (v. il testo accluso) che la Sig.a Martinez si è lamentata per il "rifiuto dello Stato di rendere il conto del sequestro", "sostenendo che tale rifiuto abbia leso il suo diritto di proprietà".
Statuizione che è al di fuori della realtà. Mai si è sognata la Sig.a Martinez di redigere tali affermazioni.
Il problema dei conti del sequestro (dei quali la Sig.a Martinez segnalava il ritardo (non il rifiuto), nonché gli errori, l'incompletezza, e l'inadeguatezza anche formale), è solo uno dei tanti momenti di illegalità di una vicenda clamorosamente iniqua, causata da una appropriazione illegittima.
La Sig.a Martinez, ovviamente (!), si è lamentata di questa appropriazione, ed è questa che costituisce violazione del diritto di proprietà.
Ed ha chiesto che tutto il patrimonio sottratto le venisse restituito. Non che venissero riesaminati i conti del sequestro.
D'altronde, solo alterando i fatti è possibile negare ciò che è successo.
19.- La Corte è incorsa anche in altri, numerosi e sorprendenti errori di fatto per la cui analisi si rimanda ai ricorsi successivamente presentati onde non appesantire la presente esposizione.
Infatti, come è doveroso nei casi della specie, ovvero allorquando un Collegio giudicante esamina una fattispecie diversa da quella rappresentata, la Sig.a Martinez propone ricorso in revisione, chiedendo che la Corte esamini la domanda che essa ha formulato ed i fatti che l'hanno determinata.
Costituisce principio indiscusso in ogni ordinamento giuridico che, allorquando una decisione è basata su di un errore relativamente ai fatti oggetto delle doglianze, la decisione stessa debba essere ripetuta. Ogni decisione, per essere valida, deve prendere in esame la domanda.
In data 6.12.96 è depositato ricorso in revisione.
Il 16 detto, la Segreteria della Corte replica che "non è previsto ricorso contro le decisioni della Corte".
Senonchè l'esposto presentato non era contro una decisione, bensì per avere una decisione. Basata sui fatti esposti.
Si fa finta di non capire. E allora un secondo ricorso in revisione viene presentato in data 27.1.99. Non senza essere preceduto da ampia illustrazione verbale sul concetto di revisione.
Ma non basta neppure questo. Un muro di gomma è costruito intorno alla decisione errata.
La Corte risponde che il ricorso non può essere esaminato "perché essenzialmente identico ad altro precedente" (!!!).
L'affermazione appare a dir poco surreale.
Quale identità può riscontrarsi tra la domanda di restituzione di beni rubati e quella di riesame della decisione, presa sulla base di fatti errati?
Sembra che ogni dialogo sia escluso se l'nterlocutore non vuole ascoltare.
20.- Una sentenza è un giudizio che il ricorrente chiede su determinati accadimenti di fatto.
Se, per errore o travisamento, il giudizio viene formulato su fatti diversi, esso è inconferente ed inutile: la domanda presentata rimane senza risposta.
Per soddisfare la domanda, occorre che il giudizio si basi sui fatti rappresentati. Non su altri.
La Sig.a Martinez ha sottoposto ad esame un furto, chiedendo la restituzione del bene, non ha domandato l'esibizione dei conti.
La decisione della Corte europea è dunque inutile in quanto non pertiene al caso sottoposto.
21.- In queste condizioni, ai fini della presente istanza, il ricorso inoltrato a suo tempo alla Corte europea è inesistente, in quanto la Sig.a Martinez non è riuscita ad avere dalla Corte una decisione sulla sua domanda.
Non rimane dunque che affidare questo travagliatissimo ed incredibile caso al sereno ed obbiettivo giudizio di codesto Collegio, nel quale si ripongono settanta anni di attesa di Giustizia, con tutti i sacrifici, i dolori, le amarezze ed i disinganni sofferti.
• Foto: 123rf.com