Avv. Alessia Raimondi - Con sentenza n. 3251 del 7 febbraio 2017 la Corte Suprema è tornata a far luce su alcuni aspetti attinenti alla risoluzione del rapporto di agenzia e alle pretese vantabili dalle parti.
Il caso è quello di un agente di commercio che aveva convenuto in giudizio la propria mandante al fine di sentir condannare la stessa al risarcimento del danno derivatogli dal recesso ad nutum subito.
In passato la Corte ha avuto modo di chiarire come il riconoscimento dell'indennità di cessazione del rapporto a favore dell'agente possa essere cumulabile, ex art. 1751 c.c. comma 4, con l'ulteriore diritto al risarcimento del danno, qualora la risoluzione del rapporto sia avvenuta con modalità ingiuriose o abbia condotto ad un illecito (contrattuale o extracontrattuale).
Orbene, con la pronuncia in epigrafe i giudici del gravame escludono che tale condizione possa ritenersi sussistente nell'ipotesi di recesso in tronco della preponente in assenza di giusta causa.
Gli articoli 1750 e 1751 del codice civile attribuiscono infatti alle parti, fatto salvo l'obbligo del preavviso, il diritto di recedere liberamente dal contratto di agenzia a tempo indeterminato.
Mancando dunque, nel caso di specie, la prova documentale, ex art. 1742 c.c., di un termine minimo di durata del contratto, dal quale potesse desumersi una legittima aspettativa dell'agente alla continuazione del rapporto, non è configurabile nel recesso ad nutum della preponente il compimento di un fatto illecito.
Avv. Alessia Raimondi
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