di Valeria Zeppilli - Quando una coppia si separa anche gli arredi della casa familiare possono divenire oggetto di contenzioso.
A tal proposito balza agli occhi una recente e singolare pronuncia della Corte di cassazione, la numero 4685/2017 del 23 febbraio (qui sotto allegata), che ha confermato la sentenza con la quale il giudice del merito aveva condannato una donna a restituire all'ex convivente more uxorio una serie di arredi e oggetti personali indicati specificamente in citazione, escludendo solo quelli strettamente connessi alle necessità dei figli.
L'accoglimento della domanda in grado di appello conteneva infatti sia l'accertamento della proprietà dei beni in capo all'uomo sia il rigetto, seppur implicito, dell'eccezione di genericità dell'elenco dei beni stessi. La Corte d'appello aveva inoltre chiarito le ragioni dell'accoglimento della domanda, rifacendosi all'esito dell'istruzione probatoria.
Tali elementi non hanno potuto fare altro che portare alla conferma della pronuncia anche in sede di legittimità.
La donna, per evitare la restituzione, tra le altre cose aveva anche tentato di fare leva sulla presunta violazione delle norme in materia di comunione dei beni, ma per la Corte la relativa disciplina non può trovare applicazione in assenza di un titolo negoziale. Usando le parole dei giudici, "la convivenza more uxorio determina infatti, sulla casa di abitazione ove si svolge e si attua il programma di vita in comune, un potere di fatto basato su di un interesse proprio del convivente, che assume i connotati tipici di una detenzione qualificata".
I beni in conclusione vanno restituiti: si salvano solo quelli connessi alle necessità dei figli.
Corte di cassazione testo sentenza numero 4685/2017