di Valeria Zeppilli - L'articolo 35 del codice delle pari opportunità tra uomo e donna dispone il divieto di licenziamento delle lavoratrici per causa di matrimonio. Sebbene la lettera della norma parli di licenziamento della dipendente, però, deve ritenersi che il divieto operi anche nei confronti del lavoratore uomo.
A dirlo è il Tribunale di Vicenza che, con una recente ordinanza pubblicata dalla sezione lavoro, ha precisato che la predetta lacuna di disciplina vada necessariamente colmata in via interpretativa per evitare delle discriminazioni alla rovescia e tenendo conto del fatto che i benefici connessi alla genitorialità si sono estesi negli ultimi anni in maniera sempre maggiore anche ai papà.
Peraltro, come chiarito qualche tempo fa dalla Costituzione, il diritto che il divieto espulsivo va a tutelare è quello a formarsi una famiglia, che spetta tanto agli uomini quanto alle donne in eguale misura ed è tutelato dall'articolo 31 della Costituzione.
Nel caso di specie era indubbio che il licenziamento era avvenuto in corrispondenza con le nozze, poiché era stato comminato nell'arco temporale che va dalla richiesta di pubblicazioni di matrimonio sino a un anno dopo la sua celebrazione. Oltretutto, in giudizio era mancata anche la prova del giustificato motivo oggettivo del recesso, dato che non era stato dimostrato che una volta cessato il contratto di outsourcing il dipendente non poteva continuare a svolgere le sue mansioni nell'ambito di servizi diversi svolti dalla medesima associazione di categoria presso la quale prestava servizio.
L'uomo va quindi reintegrato nel suo posto di lavoro e risarcito del danno subito in conseguenza del recesso, secondo i parametri posti dalla normativa avverso i licenziamenti illegittimi.
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