di Marina Crisafi - L'Italia non è stata in grado di proteggere una donna dalle violenze domestiche subite, degenerate in un tentato omicidio a suo danno ad opera del marito e nella morte del figlio, ucciso a coltellate dal padre, per aver tentato di proteggere la madre. L'Italia, dunque, ha "avallato" la violenza e va condannata. È questo in estrema sintesi quanto emerge dalla sentenza di oggi della Corte Europea dei diritti dell'uomo nell'affaire Talpis v. Italy (n. 41237/14), che riguarda il caso del delitto di Remanzacco, in provincia di Udine, avvenuto nel 2013. All'epoca dei fatti, la donna, una cittadina rumena, aveva denunciato più volte il marito. La procura aveva aperto un'inchiesta (poi archiviata) e la donna era stata accolta in una struttura protetta, dalla quale però pochi mesi dopo dovette uscire per mancanza di fondi per pagare l'assistenza. Da qui, le nefaste vicende successive.
Per i giudici di Strasburgo, la colpa è delle autorità italiane che non agendo rapidamente in seguito alla denuncia di violenza domestica fatta dalla donna hanno privato la stessa di qualsiasi effetto "creando una situazione di impunità che ha portato al ripetersi di atti di violenza - che hanno portato infine - al tentato omicidio della donna ed alla morte di suo figlio".
Per essere venuto meno, all'"obbligo di proteggere la vita delle persone", il nostro paese ha violato dunque, gli articoli 2, 3 e 14 della Convenzione Europea dei diritti umani, ossia il diritto alla vita, il divieto di trattamenti inumani e degradanti e il divieto di discriminazione, riconoscendo alla ricorrente 40mila euro circa per danni morali e spese legali.
Non ci sono, "spiegazioni plausibili per l'inerzia delle autorità per un periodo così lungo, sette mesi, prima di avviare il procedimento penale", sottolinea ancora la Corte (vedi comunicato Cedu qui sotto allegato), accusando gli organi competenti di avere con la protratta passività, "avallato" di fatto la violenza.
Cedu, comunicato sentenza Talpis-Italia