Avv. Eraldo Quici - Una volta accertato o quantomeno previsto lo stato d'insolvenza del debitore, è possibile agire giudizialmente per tutelare i propri crediti. In merito alla legittimazione, è possibile distinguere l'iniziativa privata da quella pubblica: nel primo caso, legittimato senza alcun dubbio è il creditore.
Il singolo creditore, che vanta un credito nei confronti del debitore insolvente, (e si rammenta, insolvente, non necessariamente inadempiente), può dunque depositare il ricorso finalizzato all'ottenimento della dichiarazione di fallimento. L'iniziativa del creditore non è affatto subordinata alla scadenza del termine utile per l'adempimento della prestazione da parte del debitore: difatti, la procedura fallimentare può essere esperita anche prima della scadenza prevista per il pagamento del debito, in quanto l'insolvenza è uno di quegli eventi, indicati espressamente dall'art. 1186 c.c., al sorgere del quale il creditore può esigere immediatamente la prestazione.
L'art 6 della L. Fall. indica tra i legittimati anche il debitore; tuttavia, la norma non chiarisce se allo stesso è riconosciuta una mera facoltà, oppure un vero e proprio obbligo. L'art. 217 della L. Fall. lascia intendere che il debitore abbia un obbligo nell'esperire l'azione fallimentare, qualora versi in uno stato d'insolvenza. Difatti, la norma citata statuisce che il reato di bancarotta fraudolenta si applica anche all'ipotesi dell'imprenditore che ha aggravato il proprio dissesto, astenendosi dal richiedere la dichiarazione del proprio fallimento.
L'iniziativa pubblica, invece, è esclusivamente affidata al P.M. Tuttavia la stesura originaria della Legge Fallimentare
prevede eccezionalmente l'iniziativa d'ufficio dell'organo giudicante, in deroga al principio "ne procedat iudex ex officio". Il Decreto Legislativo "correttivo" nr. 5 del 2006, evitando in tal modo qualsiasi lesione del principio di terzietà ed imparzialità del giudice, ha eliminato questa deroga, consentendo soltanto al P.M. di iniziare la procedura fallimentare. Nello specifico, il P.M. dà origine all'istruttoria prefallimentare se, nel corso di un processo penale, ravvisa il possibile stato d'insolvenza del debitore: in questa ipotesi, la procedura fallimentare risulta essere subordinata all'esercizio dell'azione penale. Nel processo civile, invece, è il giudice che segnala e comunica al P.M. l'eventuale fallibilità del debitore.Orbene, delineata la materia delle legittimazione ad agire, appare doveroso ora analizzare l'aspetto della competenza. Competente per materia è il Tribunale in composizione collegiale; in merito al territorio, è competente il collegio del luogo in cui l'impresa ha la propria sede principale.
Essa, in genere, si configura come il luogo, nel quale vengono individuate, decise e messe in pratica le scelte strategiche aziendali, coincidendo spesso, ma non sempre, con la sede legale dell'impresa, (Cass. nr. 15872/2013). Per sede principale, altresì, si intende anche la cd. sede amministrativa, ossia quella nella quale generalmente sono tenute le scritture contabili e viene gestita la corrispondenza; irrilevanti a tal proposito sono gli eventuali stabilimenti di produzione. Tale competenza resta operativa anche se l'imprenditore ha trasferito la propria sede: è necessario ad ogni modo che lo spostamento sia avvenuto da meno di un anno, altrimenti il Tribunale adito risulta essere incompetente. La sede principale è desunta dal registro dalle imprese. Nella prassi, però, può accadere che un'impresa abbia la sede principale in un determinato luogo, e quella effettiva in un altro: in questa ipotesi, rileva, ai fini della competenza, il territorio nel quale è ricompresa la sede effettiva, (Cass., nr. 13568/2015; Cass., nr. 3081/2011). Qualora un'impresa abbia più sedi autonome presenti in vari territori, ciascun Tribunale è formalmente competente in merito all'istanza di fallimento. Soccorre in questo caso il principio della prevenzione: il Tribunale che per primo si dichiara competente, esclude tale possibilità per tutti gli altri collegi interessati. Gli altri Tribunali, a questo punto, possono optare per due soluzioni diverse: o riconoscere la competenza del collegio che per primo si è pronunciato sulla questione, trasmettendo a quest'ultimo gli atti, oppure impugnare siffatta pronunzia con il regolamento di competenza ai sensi dell'art. 45 c.p.c.Infine, in merito alla giurisdizione, essa è italiana in due distinte ipotesi:
a) qualora l'impresa abbia la sede principale all'estero ed una secondaria in Italia;
b) se l'imprenditore ha trasferito la sede all'estero dopo la presentazione del ricorso di fallimento.
Sulla materia, occorre tuttavia fare riferimento alle norme dell'UE che prevalgono sulle interne; nello specifico, trova attuazione il Regolamento nr. 1336/2000. La norma comunitaria statuisce che la dichiarazione di fallimento spetta al giudice dello Stato membro ove l'imprenditore ha il centro principale dei propri interessi, ossia la sede statutaria; se l'impresa ha sedi secondarie in altri Paesi dell'Unione, è possibile l'apertura di procedimenti secondari. La dichiarazione di fallimento emessa in uno Stato membro è automaticamente efficace negli altri Paesi aderenti all'Unione.