di Valeria Zeppilli - Fino a dove si può giungere con un'istanza di accesso civico per non ledere la privacy altrui? Con provvedimento numero 50 del 9 febbraio 2017 (qui sotto allegato) il Garante per la protezione dei dati personali ha dato una risposta chiara e idonea a fugare ogni dubbio in merito.
La decisione è stata sollecitata dal Responsabile della trasparenza e della prevenzione della corruzione di un Ordine degli avvocati, che ha chiamato in causa il Garante per sentire il suo parere in merito a un procedimento relativo a una richiesta di riesame sul provvedimento di diniego di una istanza di accesso civico.
Nel provvedimento dello scorso febbraio si legge che lo scopo perseguito dal Freedom of information act di cui al d.lgs. n. 33/2013 nel riconoscere a chiunque il diritto di accedere ai dati e documenti detenuti dalla P.A. (che è quello di favorire il controllo sul perseguimento delle finalità istituzionali e dell'utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico), trova un limite invalicabile nella tutela di interessi giuridicamente rilevanti. Più nel dettaglio, l'istanza di accesso civico va rifiutata, tra le varie ipotesi, quando ciò sia necessario per evitare un pregiudizio concreto alla tutela e alla protezione dei dati personali.
Nel caso di specie la richiesta di accesso aveva ad oggetto gli atti di un procedimento disciplinare che aveva interessato un avvocato: per il Garante, però, proprio la natura disciplinare rende l'accesso idoneo cagionare un pregiudizio concreto alla privacy del legale, tanto da legittimarne il diniego.
Del resto, anche la legge numero 241/1990 non consente l'accesso documentale agli atti del procedimento disciplinare proprio in ragione della potenziale incidenza negativa sulla riservatezza dei soggetti interessati che la loro diffusione è idonea a cagionare.
La privacy degli avvocati quindi, almeno quando si tratta di questioni disciplinari, va sempre preservata.
Garante Privacy testo provvedimento 50 del 9/2/2017