I giudici europei condannano l'Italia per violazione degli articoli 2 e 3 della Cedu
Abogado Francesca Servadei - Con la sentenza Talpis, del 2 marzo 2017, la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo condanna l'Italia per inosservanza degli obblighi di cui all'articolo 2 e 3 della C.E.D.U., relativamente alla violazione del diritto alla vita e del divieto di trattamenti inumani e degradanti nonché per divieto di discriminazione. La sentenza è stata emessa a seguito di violenze perpetrate a danno di una donna, la quale per proteggere i propri figli è stata vittima di violenza domestica e nel fatto de quo, vi è stato addirittura il tentato omicidio della ricorrente e l'omicidio del figlio.
La vicenda
La ricorrente, nel settembre 2012, avanzava denuncia per i reati di maltrattamenti, lesioni e minacce, chiedendo all'autorità l'adozione di misure urgenti atte a tutelare lei ed i propri figli; nell'aprile dell'anno successivo, senza che nulla fosse stato posto in essere, la donna modificava le proprie dichiarazioni ed il Pubblico Ministero procedeva solamente per il reato di lesioni innanzi al Giudice di Pace, archiviando le altre ipotesi di reato. Una volta notificato l'atto innanzi al Giudice di Pace, il marito tentava di uccidere la moglie ed uccideva il figlio e veniva condannato all'ergastolo per il reato di tentato omicidio, omicidio, maltrattamenti in famiglia e porto abusivo di armi. La donna ricorreva alla Corte di Strasburgo in quanto l'Autorità Italiana non aveva adottato misure idonee a tutelare lei ed i figli.
La decisione
Alla luce dei fatti occorsi, la Corte dei Diritti Europei dell'Uomo, richiamando la sentenza della III Sezione del 9 giugno 2009 (sentenza Opuz), ha ravvisato come l'Italia ha violato l'obbligo di adottare misure per proteggere le persone vulnerabili, tra le quali rientrano le vittime di violenze domestiche. Contestualmente ha precisato che tale obbligo nasce quando lo Stato ha la certezza di un imminente pericolo per la persona ed a fronte di questo non sia stata assunta alcuna misura volta a tutelare la stessa, inoltre ha ribadito che grava sulle autorità l'ulteriore obbligo di instaurare tempestivamente un giudizio penale.
La Corte ha sottolineato come non sia stata applicata alcuna misura preventiva e che la donna sia stata sentita dopo sette mesi dalla denuncia-querela, in tal modo per i Giudici Europei la donna è rimasta priva di tutela facendo si che le perpetrate azioni del marito rimanessero impunite. Inoltre le medesime Autorità Europee hanno riscontrato violazione dell'articolo 2 C.E.D.U. innanzi al fatto che per ben due volte è stato necessario l'intervento della forza pubblica, ragion per cui ricorreva la prevedibilità e la evitabilità delle condotte, violando il postulato dell'articolo 2. La Corte Europea ha precisato inoltre che le lesioni subite e le pressioni psicologiche si traducono inevitabilmente nella violazione dell'articolo 3 della Convenzione. Il comportamento passivo delle Autorità Italiane nello svolgimento delle indagini ha creato infatti una sorta di impunità nei confronti del reo violando l'obbligo di adottare tutte le misure sancite nella Convenzione atte ad evitare forme di violenza rientranti nella Convenzione stessa. Per di più viene ravvisata una discriminazione di genere che si traduce in una continua tolleranza di quei comportamenti che riflettono una predisposizione discriminatoria nei confronti della vittima, in quanto donna, predisposizione questa appurata dalla Corte sulla base degli sconfortanti dati statistici.
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