di Redazione - "Deficiente, stupido e zozzone". Questi gli epiteti utilizzati dalla maestra nei confronti di un alunno che però non valgono alla donna una condanna penale, giacchè il reato di ingiuria (ex art. 594 c.p.) è stato depenalizzato. Lo ha deciso la Cassazione (quinta sezione penale, sentenza n. 12768/2017, qui sotto allegata), annullando senza rinvio la condanna nei confronti di un'insegnante perché il fatto non costituisce più reato.
Evidente l'offesa all'onore e al decoro del ragazzino arrecata dalla maestra della scuola elementare, che viene condannata in primo e in secondo grado.
Tuttavia, di fronte agli Ermellini, la donna rimane impunita.
A salvarla, infatti, non è la tesi del proprio legale - che lamentava la mancata valutazione da parte della sentenza impugnata della sussistenza della ritorsione e provocazione, posto che l'insegnante era perennemente vessata dai comportamenti indisciplinati del minore e dei compagni di classe - bensì il d.lgs. n. 7/2016 che ha sancito la depenalizzazione dell'ingiuria, che non è più prevista dall'ordinamento come reato.
Resta aperto, ovviamente, il fronte civile. Ma in ordine alle relative statuizioni, la corte aderisce alla pronuncia delle sezioni unite (cfr. sentenza n. 46688/2016) che, componendo un contrasto giurisprudenziale, "hanno affermato il principio secondo cui, in caso di sentenza di condanna relativa a un reato successivamente abrogato e qualificato come illecito civile ai sensi del d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 7, il giudice dell' impugnazione, nel dichiarare che il fatto non è più previsto dalla legge come reato, deve revocare anche i capi della sentenza che concernono gli interessi civili". Rimane fermo, dunque, per i genitori dell'alunno il diritto di agire "ex novo nella sede naturale, per il risarcimento del danno e l'eventuale irrogazione della sanzione pecuniaria civile".
Cassazione, sentenza n. 12768/2017
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