di Redazione - È legittima la sanzione della sospensione nei confronti dell'avvocato che dopo aver escusso un teste in un procedimento civile, integri il verbale con una frase non dettata dal giudice. Così ha deciso la Cassazione, con l'ordinanza n. 6967/2017 di ieri (qui sotto allegata), rigettando l'istanza di sospensione dell'esecutorietà della sentenza impugnata da un avvocato, non ritenendo sussistente il fumus boni iuris.
Dopo che le sue doglianze venivano rigettate dal Cnf, il legale era ricorso al Palazzaccio avverso la sanzione disciplinare della sospensione dall'esercizio della professione per 3 mesi irrogata dal Coa in relazione all'accertata responsabilità in odine all'illecito di cui agli artt. 5, 6 e 14 del Codice Deontologico Forense, per avere, dopo la conclusione dell'assunzione di un testimone in un procedimento civile dal medesimo verbalizzata, integrato il verbale con una frase non dettata dal giudice.
Anche per gli Ermellini, le doglianze dell'avvocato che lamentava che il Cnf avesse ritenuto giustificata l'applicazione della sanzione della sospensione dall'esercizio della professione, sono infondate. Invero, si legge in sentenza, "il Codice deontologico forense all'art. 22, da ritenersi applicabile nel caso di specie, per l'efficacia retroattiva delle nuove disposizioni, se più favorevoli, prevede che la sospensione dall'esercizio della professione si applica 'per infrazioni consistenti in comportamenti e in responsabilità gravi o quando non sussistono le condizioni per irrogare la sola sanzione della censura'.
Nella specie, dunque, "la sospensione ben poteva essere applicata dagli organismi disciplinari perché come si desume dalla sentenza impugnata la reiezione del motivo di ricorso da parte del Cnf è stata accompagnata da una specifica valutazione in ordine alla gravità del fatto e alla adeguatezza della sanzione della sospensione alla gravità stessa".
Del resto, concludono da piazza Cavour, "nei procedimenti disciplinari a carico degli avvocati la concreta individuazione delle condotte costituenti illecito disciplinare è rimessa all'ordine professionale e il controllo di legittimità sull'applicazione di tali norme non consente alla Cassazione di sostituirsi al Cnf nell'enunciazione di ipotesi di illecito se non nei limiti di una valutazione di ragionevolezza che attiene non alla congruità della motivazione ma all'individuazione del precetto e rileva quindi ex art. 360 n. 3 c.p.c.".
Cassazione, ordinanza n. 6967/2017• Foto: 123rf.com