di Valeria Zeppilli - L'avvocato che invia la certificazione medica al fine di giustificare l'assenza a dei procedimenti disciplinari che lo riguardano, ma poi non viene rinvenuto nella sua abitazione dal medico fiscale, pone in essere una violazione ai doveri di correttezza e lealtà e compromette sia la propria reputazione che quella della categoria professionale di appartenenza.
Tanto è stato affermato dal Consiglio Nazionale Forense nella pronuncia numero 154/2016 (pubblicata il 21 marzo 2017 sul sito istituzionale e qui sotto allegata), con la quale il è stata disposta, per le predette ragioni, la sanzione disciplinare della sospensione dall'esercizio della professione per due mesi nei confronti di un avvocato che si era "furbescamente" sottratto ai controlli disposti per verificare il suo effettivo stato di salute.
Il Consiglio ha ricordato che la predetta condotta disciplinarmente illecita è tipizzata nell'articolo 71 del nuovo codice deontologico forense, che disciplina il dovere di collaborazione, e nell'articolo 63 del medesimo codice, che si occupa dei rapporti con i terzi. Le violazioni di entrambe tali norme, in realtà, sono sanzionate con l'avvertimento ma, nella specie, devono trovare applicazione gli articoli 21, comma 3, e 22, comma 2, del CdF, con conseguente aumento della sanzione edittale prevista.
La valutazione relativa all'intensità del comportamento dell'avvocato, fatta sulla base degli elementi acquisiti al fascicolo del procedimento e estesa ai fatti precedenti e successivi a quello contestato, al contesto in cui quest'ultimo è avvenuto e ai numerosi precedenti disciplinari del legale, hanno quindi determinato il CNF a ritenere congrua la sanzione della sospensione dall'esercizio dell'attività professionale per due mesi, già disposta dal Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Roma.
Consiglio Nazionale Forense testo pronuncia numero 154/2016