di Lucia Izzo - Anche le auto che espongono il contrassegno per disabili pagano il "grattino" per sostare sulle strisce blu, a meno che il Comune non preveda espressamente che il disabile possa parcheggiare gratuitamente nelle aree a pagamento quando gli spazi riservati risultino già occupati.
Lo ha rammentato la Corte di Cassazione, sesta sezione penale, nella sentenza n. 13851/2017 (qui sotto allegata) che ha accolto in parte il ricorso di un uomo, condannato in sede di merito per il reato di abuso d'ufficio.
Tale reato veniva ascrittogli per aver più volte, nello svolgimento delle funzioni di ausiliario del traffico e in violazione delle norme di legge e/o di regolamento, elevato alcuni avvisi di accertamento nei confronti della parte civile che aveva sostato in zona blu a pagamento senza esporre il relativo grattino. Tuttavia, tale autovettura risultava munita di un regolare pass per disabili visibilmente esposto, sicché i giudici hanno ritenuto che la condotta del ricorrente avesse procurato al cittadino un danno ingiusto.
In Cassazione, l'imputato ha denunciato violazione e falsa applicazione dell'art. 323 c.p. e vizio della motivazione per travisamento del fatto e della prova, nonché carenza ed illogicità della motivazione.
In particolare, ha dedotto che mancasse la violazione di legge o regolamento, poiché gli atti deliberativi del Comune non facevano alcun riferimento all'esonero dal pagamento del titolo di sosta per i portatori di handicap, orientamento che è stato cristallizzato solo in una deliberazione successiva ai fatti.
Per gli Ermellini è fondata la doglianza riguardante l'atto amministrativo intervenuto successivamente ai fatti: i giudici di merito, infatti, avevano tra l'altro fatto leva su una nota del Comando di P.M. secondo la quale il contrassegno esonerava nel Comune dal pagamento del tributo da parte dei possessori. Tuttavia, precisano i giudici, tale attestazione è insufficiente a fondare la violazione regolamentare a base dell'ipotizzato reato di abuso di ufficio ascritto al ricorrente.
Non merita accoglimento, inoltre, la deduzione riguardante la qualifica soggettiva rivestita dal ricorrente: costui aveva affermato di non essere incaricato di pubblico servizio, in ragione della sua dipendenza da una società di diritto privato partecipata dal Comune e dotata di autonoma soggettività giuridica rispetto all'ente territoriale.
Ricostruzione smentita dalla Cassazione, la quale ricorda che l'ausiliario dei traffico riveste la qualifica di incaricato di pubblico servizio all'atto dell'accertamento e contestazione delle violazioni attinenti al divieto di sosta nella aree oggetto di concessione.
Nel caso in esame il reato deve ritenersi prescritto, ciò determinando l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata ai fini penali. La sentenza deve, in relazione all'insufficiente individuazione della norma regolamentare, anche essere annullata in relazione alle statuizioni civili con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello.
Cass., VI sez. pen., sent. n. 13851/2017• Foto: 123rf.com