di Valeria Zeppilli - Le norme del codice deontologico forense, che devono ispirare l'esercizio della professione di avvocato, vanno interpretate in maniera estensiva e ricomprendono nel loro campo di applicazione anche comportamenti non tipizzati dagli articoli che compongono tale testo.
Si pensi, ad esempio, allo spregevole comportamento del legale che, in udienza, palpeggia una collega: il Consiglio Nazionale Forense, con la sentenza numero 201/2016 qui sotto allegata, ha chiarito che anche tale atteggiamento va considerato disciplinarmente rilevante (sebbene poi l'avvocato, nel caso di specie, sia stato "scagionato" per difetto di adeguata prova).
Uniformandosi a quanto disposto con alte rilevanti pronunce, infatti, il CNF ha ricordato che il nuovo codice deontologico forense si ispira al principio della tipizzazione delle condotte rilevanti solo "per quanto possibile".
I comportamenti che costituiscono un illecito disciplinare, tra i quali vanno ricompresi anche fatti della vita privata degli avvocati, sono del resto potenzialmente illimitati, tanto da non permettere una loro dettagliata e tassativa individuazione.
Di conseguenza, le condotte tipizzate dalle norme disciplinari che regolano la professione forense sono parte di un elenco meramente esemplificativo e i comportamenti che non vi rientrano non necessariamente generano l'immunità ma vanno ricondotti nell'alveo dell'articolo 21 del codice deontologico, in forza del quale gli organi giudicanti devono valutare il comportamento complessivo dell'incolpato e adeguare e proporzionare le sanzioni alla violazione commessa.
Consiglio Nazionale Forense testo sentenza numero 201/2016• Foto: 123rf.com