di Eugenio D'Orio - Il diritto di un soggetto sottoposto a condanna definitiva a provare la propria innocenza e' sancito nel dispositivo dell'art. 24 della Costituzione. Tuttavia, ad oggi, emerge una carenza legislativa che va in contrasto con quanto enunciato nel suindicato articolo.
La vicenda
Nello specifico, si riporta un esempio attuale in cui vi e' un soggetto condannato in via definitiva per il delitto di omicidio su base della cd. "prova regina DNA". Nello specifico il DNA del condannato fu rinvenuto su parte del corpus delicti utilizzato per compiere l'atto delittuoso. Tale sentenza di condanna (Cass. n. 8400/2017, qui sotto allegata) è passata in giudicato, nonostante il condannato si sia sempre dichiarato estraneo al fatto-reato contestatogli.
Basandosi sulle nuove nozioni conoscitivo-scientifiche, la difesa del condannato ha prodotto due consulenze tecniche, a firma dello scrivente, in cui nella prima ha prodotto una dimostrazione fattuale che dimostra che il Dna ritenuto "prova regina" della colpevolezza, non è altro che una contaminazione accidentale. Nella seconda, in ragione di revisione che si basa sulla produzione di "nuove prove" da parte della difesa, il sottoscritto ha individuato alcuni dei reperti posti, all'epoca dei fatti, a sequestro da parte della procura, ma mai analizzati nei gradi di merito. Parte di questi reperti che attualmente sono ancora disponibili presso l'ufficio corpi di reato, costituiscono fonte e base delle nuove prove scientifiche in favore del condannato, in quanto gli stessi reperti, per le posizioni in cui repertati, furono sicuramente oggetto di contatto con l'offender e, dunque, hanno intrinseche le tracce biologiche di questi.
Di conseguenza, la difesa ha proceduto mediante la presentazione dell'istanza in cui si dimostrava l'esistenza della "non prova" dalla quale scaturi' la condanna definitiva e ha chiesto l'esame dei reperti in uso alla Procura.
L'impossibilità per il condannato di provare la propria innocenza
Da qui è emersa la lacuna legislativa in materia di diritto, in quanto nessuna norma impone al Procuratore di accettare le richieste avanzate dalla difesa, negando di fatto la possibilità al condannato di utilizzare il mezzo di impugnazione della revisione (che spetta di diritto).
A seguito di ciò si sono espressi componenti della stessa magistratura.
Il giudice Gennaro Francione ha asserito: "Questa omissione legislativa e' un altro segno del sistema che preferisce avere colpevoli una volta che ci siano soggetti incriminati, piuttosto che assolvere. Gli altri segni del sistema colpevolista: verdetto a maggioranza mentre una volta che un giudice di un collegio decida per l'assoluzione dovrebbe vincere lui essendo quella decisione singola ragionevole dubbio di colpevolezza; la possibilità del P. M. di appellare un'assoluzione (ragionamento idem a parte il principio da affermare in generale che non si può impugnare un verdetto di assoluzione); l'esistenza stessa del processo indiziario da mettere fuori legge per il dubbio in sé che genera della colpevolezza dell'indiziato di turno in mancanza di prove schiaccianti o di confessione".
Sul punto rilevato ci sarebbe da sollevare questione d'incostituzionalità: 1) art. 3 2° co. Cost. secondo cui per una reale uguaglianza tra i cittadini devono essere rimossi ostacoli che nel caso della giustizia sono elementi sopravvenuti per far dichiarare innocente chi già ritenuto colpevole; 2) violazione dell'art. 111 della Costituzione che assicura una reale parità tra accusa e difesa; 3) Art. 24, dove si afferma che "Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi. La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento.
Anche il noto giudice Edoardo Mori in diverse sue pubblicazioni, afferma quanto segue: "In Inghilterra è molto frequente la revisione di processi quando si scopre che una metodologia impiegata da un laboratorio non era adeguata al caso. In paragone la situazione italiana è a dir poco penosa"…
Preso atto di ciò sarà importante lavorare in senso produttivo, onde colmare tale lacuna legislativa attualmente intrinseca nel sistema giudiziario e garantire così il diritto a una difesa reale dei cittadini che si reputino ingiustamente colpiti dalla giustizia.
Una procedura più rigorosa in materia è un diritto sacrosanto sancito dalla Costituzione al di là della carenza di leggi ordinarie in merito ma soprattutto dall'etica giudiziaria, che impone sempre e comunque la ricerca della verità soprattutto a fronte di sistemi indiziari rimessi all'opinione dei giudici e non a prove rigorosissime che solo la scienza può fornire. A fronte delle migliaia di persone messe in carcere annualmente e poi prosciolte o assolte s'impone una rivoluzione del metodo d'indagine e analisi delle risultanze processuali che, in linea con quanto affermato dal giudice Francione, si ritiene solo una scienza di giustizia rigorosa allineata alla moderna epistemologia popperiana può fornire.
Cassazione, sentenza n. 8400/2017• Foto: 123rf.com