Questa volta ad attivarsi in giudizio e chiedere lumi alla magistratura amministrativa è un imprenditore cui il Prefetto ha negato il rinnovo della licenza di porto di pistola per difesa personale.
Il diniego è parso da subito immotivato al ricorrente, che nel giudizio di primo grado non ha trascurato di spiegare analiticamente le sue ragioni e i suoi motivi per pervenire ad una revisione di quanto stabilito dall'amministrazione.
La sostanza del ragionamento del Tar è stata quella riassunta nei punti seguenti, dove il primo e l'ultimo sono rappresentati da veri e propri punti fermi della normativa di settore:
1) il caposaldo in materia è il divieto generale di portare armi e la licenza di portarle è vista dall'ordinamento giuridico come una deroga;
2) il secondo principio che si ricava dal dictum del giudice è che la discrezionalità amministrativa in materia è assai ampia;
3) il terzo elemento è la storia dell'interessato, da esaminare in relazione ad eventuali plurimi rinnovi già avuti nel corso di un cospicuo lasso di tempo;
4) nel caso che l'amministrazione intenda negare il rinnovo (in presenza di rinnovi già conseguiti in passato), sulla questione del dimostrato bisogno deve motivare per bene il venir meno delle condizioni iniziali di partenza;
5) inoltre, fermo restando l'intento negativo dell'amministrazione, essa deve dimostrare il sopraggiunto e reale motivo del diniego;
6) se le motivazioni del diniego si basano su argomenti, fatti e circostanze già esaminati e superati favorevolmente in passato, nell'attualità non hanno fondamento: il rilascio della licenza per porto di pistola è pur sempre basato sull'attuale dimostrato bisogno;
7) l'ordinamento giuridico italiano permette l'uso di armi legittimamente detenute anche per difendere i propri beni all'interno del luogo dove si svolge l'attività imprenditoriale, quando non c'è desistenza e quando sussiste pericolo di aggressione.
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