di Valeria Zeppilli - L'ordinamento giuridico internazionale, prima, e quello interno italiano, poi, hanno negli anni attribuito un ruolo sempre più significativo agli animali da compagnia all'interno della società, riconoscendo ad essi la natura di esseri senzienti.
Una dettagliata ricostruzione delle diverse tappe del percorso che ha portato all'affermazione di una serie di importanti diritti degli amici a quattro zampe e non solo è stata recentemente fatta dalla Corte di cassazione, con la sentenza numero 18167/2017 dell'11 aprile (qui sotto allegata), nell'ambito di un procedimento avente ad oggetto la corretta individuazione del soggetto competente a provvedere in materia di animali sequestrati a seguito di maltrattamenti, una volta che sia stata disposta la loro confisca.
In generale, infatti, l'articolo 19-quater delle disposizioni di coordinamento e transitorie del codice penale prevede che gli animali oggetto di sequestro o di confisca vadano affidati a quelle associazioni o a quegli enti che ne facciano richiesta e che diano garanzie di poterli tenere in modo adeguato. Se, però, questi soggetti manchino, per i giudici è il sindaco che deve mantenere gli animali maltrattati.
Per la Corte, infatti, sono diverse le norme la cui lettura in stretta connessione tra loro rende chiara la posizione di garanzia ricoperta dal sindaco rispetto agli animali presenti sul territorio comunale, del cui benessere egli è direttamente responsabile, dalla quale deriva l'obbligo di far fronte al loro mantenimento in caso di confisca.
Tale obbligo non può, invece, essere ricondotto in capo allo Stato che è gravato solo delle spese di custodia nel corso del procedimento e del processo penale e che perde ogni responsabilità dopo il passaggio in giudicato del provvedimento che ha disposto la confisca.
Corte di cassazione testo sentenza numero 18167/2017
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