di Francesca Stramaglia - La legge 89/2001, meglio nota come Legge Pinto, riformata dalla Legge di stabilità 2016 e prima ancora dal c.d. Decreto Sviluppo (d.l. 22.6.2012 n. 83, conv. in l. 7.8.2012 n. 134), è stata emanata in attuazione di quanto stabilito dall'art. 6, paragrafo 1, C.E.D.U. ("ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge [...]"). L'Italia, infatti, è stata spesso sanzionata dalla Corte Europea per via dell'irragionevole durata dei suoi processi e la Legge Pinto offre una possibilità di indennizzo per quanti siano stati danneggiati dalle lungaggini della giustizia italiana.
I requisiti per il diritto al risarcimento
Questo diritto al risarcimento sorge in presenza di tre requisiti:
1) La non ragionevole durata del processo;
2) L'esistenza di un danno conseguente;
3) L'esistenza di un nesso causa-effetto tra la durata del processo e il danno cagionato.
Potranno essere risarciti non soltanto i danni patrimoniali ma anche quelli non patrimoniali dei quali si presume l'esistenza poiché dettati da quello stato di ansia perdurante che la pendenza di un processo ingenera nelle parti coinvolte.
La domanda può essere proposta da chi ha subito un danno dall'irragionevole durata di un processo obbligatoriamente assistito da un legale. Qualora la parte si trovi nella fascia di reddito prevista dalla legge può richiedere l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato (c.d. gratuito patrocinio). Possono chiedere l'equo indennizzo anche gli eredi di una delle parti processuali.
I "criteri" per il ritardo
Si considerano rispettati i termini di ragionevole durata di un processo quando lo stesso non eccede la durata di:
- Tre anni in primo grado;
- Due anni in secondo grado;
- Un anno nel giudizio di legittimità in cassazione.
Tuttavia si considera comunque rispettato il termine di ragionevole durata se il giudizio viene definito in modo irrevocabile in un tempo non superiore a 6 anni.
Al fine della determinazione del ritardo rispetto alla durata ragionevole, il giudice terrà conto anche di altre circostanze processuali: la complessità della causa, la condotta delle parti e le scelte del giudice designato. Un processo che si sia protratto oltre il termine di durata ragionevole per circostanze imputabili alla parte processuale, quali ad esempio manovre dilatorie volte a rinviare le udienze senza necessità, non potrà dar luogo alla richiesta di equo indennizzo.
La domanda di riparazione
La domanda di riparazione si propone, a pena di decadenza, entro e non oltre 6 mesi dal momento in cui la sentenza è divenuta definitiva, con ricorso al Presidente della corte di Appello del distretto in cui ha sede il giudice innanzi al quale si è svolto il giudizio.
La domanda si propone con ricorso sottoscritto dal difensore munito di procura speciale, contro:
- Il ministero della giustizia per i procedimenti ordinari;
- Il ministero della difesa per i procedimenti militari;
- Il ministero dell'economia e delle finanze negli altri casi.
Essa deve essere dettagliata e consentire la verifica dei ritardi subiti mediante precisa allegazione dei verbali di udienza oltre che la copia della sentenza passata in giudicato.
Ai fini della proposizione della domanda di equo indennizzo è indifferente l'esito della causa in quanto la stessa potrà essere proposta sia dalla parte vittoriosa che da quella soccombente purchè non si tratti di casi di abuso del processo (ad es. il caso di lite temeraria).
I rimedi preventivi
La legge di Stabilità 2016 ha previsto che per i procedimenti la cui durata non ecceda i termini di ragionevolezza al 31 ottobre 2016, sia richiesta, a pena di inammissibilità, che la parte abbia esperito i rimedi preventivi alla irragionevole durata del processo.
Per ciò che concerne il processo civile, sono considerati rimedi preventivi: la proposizione del giudizio con rito sommario o la richiesta di passaggio dal rito ordinario al rito sommario entro l'udienza di trattazione o entro i 6 mesi prima che trascorrano i 3 anni in primo grado. Nelle fattispecie in cui non si applica il rito sommario di cognizione, come ad esempio in appello, viene considerato rimedio preventivo la richiesta di trattazione orale ai sensi dell'art. 281 sexies c.p.c., da richiedere sempre entro 6 mesi dalla scadenza del termine ragionevole di durata.
Nel processo civile è rimedio preventivo, l'istanza di accelerazione presentata almeno 6 mesi prima della scadenza del termine di ragionevole durata.
Nel processo amministrativo è rimedio preventivo la proposizione dell'istanza di prelievo con la quale la parte segnala l'urgenza del ricorso.
La misura dell'indennizzo
Una volta proposta la domanda, il giudice, se la accoglie, può liquidare a titolo di equa riparazione per la irragionevole durata del processo una somma non inferiore ad euro 400,00 e non superiore ad euro 800,00 per ciascun anno, o frazione di anno superiore a sei mesi, che eccede il termine di durata ragionevole.
La misura dell'indennizzo non può, in ogni caso, essere superiore al valore della causa.
Se il ricorso viene accolto, il giudice ingiunge al Ministero di pagare la somma liquidata a titolo di equa riparazione. Tuttavia, la parte deve notificare al Ministero della Giustizia il ricorso ed il decreto entro 30 giorni dal deposito del provvedimento in cancelleria. Decorso questo termine il decreto diventa inefficace e la domanda di equa riparazione non può più essere proposta.
Qualora il ricorso fosse respinto in tutto o in parte, la domanda non può più essere riproposta, ma la parte può proporre opposizione dinanzi alla stessa Corte d'Appello nel termine perentorio di 30 giorni dalla comunicazione o dalla notificazione del provvedimento.
Per approfondimenti vai alla guida Legge Pinto: cosa prevede e come si presenta il ricorso
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