di Valeria Zeppilli - Con il termine mobbing, come noto, si suole indicare l'atteggiamento aggressivo, tipico del contesto lavorativo ma non solo, che una o più persone assumono nei confronti di altre, cagionando a queste ultime un danno psicofisico.
Tuttavia, non tutti gli atteggiamenti scontrosi o severi che un lavoratore subisce da parte di un collega o di un superiore possono essere qualificati mobbing, ma, come chiarito dalla Corte di cassazione con la sentenza numero 2142/2017 (qui sotto allegata), è a tal fine necessario che ricorrano dei precisi elementi costitutivi della fattispecie.
Gli elementi costitutivi del mobbing
Con la pronuncia in commento, nell'occuparsi del risarcimento danni per mobbing richiesto da un dipendente comunale, la Corte ha infatti chiarito che per potersi parlare di mobbing è necessario, innanzitutto, che la vittima subisca da parte del datore di lavoro, di un suo preposto o di altri dipendenti sottoposti al potere direttivo dei primi una serie di comportamenti persecutori, sistematici e prolungati nel tempo, sia illeciti che singolarmente leciti.
Il secondo elemento costitutivo del mobbing è rappresentato dalla lesione della salute, della personalità o della dignità del dipendente.
Vi deve essere, poi, un nesso eziologico tra le condotte sopra descritte e il pregiudizio all'integrità psico-fisica e/o alla dignità della vittima.
Infine, il mobbing richiede la sussistenza dell'elemento soggettivo, ovverosia dell'intento persecutorio che unifica di tutti i comportamenti lesivi.
Il caso deciso dalla Cassazione
Se la necessaria coesistenza di tutti questi elementi non rende agevole alla vittima fornire la prova del mobbing, nel caso di specie al dipendente comunale è andata comunque bene in sede di contenzioso: il suo diritto ad essere risarcito non può essere negato dinanzi alla situazione di inattività nella quale era stato a lungo lasciato, all'essere stato privato di scrivania e sedia, all'essere stato allontanato dai colleghi e all'insorgenza, in conseguenza di tutto ciò, di una sindrome reattiva di grado medio.
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Corte di cassazione testo sentenza numero 2142/2017• Foto: 123rf.com