di Marina Crisafi - Prendere di mira un'insegnante può costare molto caro. Lo sa bene uno studente di ragioneria che, per aver tempestato con decine di telefonate giornaliere e notturne la propria prof di matematica, arrecandole "un grave turbamento alla tranquillità, al riposo e alla pace domestica, con conseguente logorio e sofferenza psico-fisica", ha subito un processo penale per i reati di molestie e diffamazione. "Salvato" dalla prescrizione, sul fronte della responsabilità civile, la Cassazione (sentenza n. 11211/2017 di oggi, sotto allegata) non "perdona" e lo condanna a pagare alla prof un adeguato ristoro valutato in 10mila euro.
La vicenda
La vicenda trae origine dalla querela contro ignoti presentata dall'insegnante per le telefonate moleste e offensive ricevute. A seguito di intercettazioni telefoniche si accertava che le chiamate provenivano da una linea intestata ai genitori di un alunno di ragioneria, cui lei insegnava matematica.
In primo grado, veniva dichiarato non doversi procedere per il reato di molestie, per intervenuta prescrizione e il ragazzo veniva dichiarato colpevole di ingiuria e diffamazione, con multa e risarcimento del danno di 20 milioni di lire oltre interessi.
In appello, il ragazzo veniva assolto dal reato di ingiuria e per quello di diffamazione intanto sopraggiungeva la prescrizione. Venivano, in ogni caso, confermate le statuizioni civili di natura risarcitoria.
La vicenda giungeva in cassazione e si concludeva con rinvio alla corte d'appello, la quale considerato che non poteva più essere messa in discussione la colpevolezza del giovane per i reati commessi in danno dell'insegnante, valutava il "grave turbamento alla tranquillità, al riposo e alla pace domestica, con conseguente logorio e sofferenza psico-fisica" procurato alla donna in 10mila euro oltre interessi e rivalutazione dal 1994.
Nuovamente adita dallo studente in merito alla condanna per la responsabilità civile, la Cassazione ritiene il ricorso inammissibile.
La decisione della Cassazione
Per gli Ermellini, il ricorso non ha sufficientemente argomentato il contrasto di legge eccepito nella sentenza impugnata, mentre la corte d'appello ha correttamente proceduto, limitandosi ad una valutazione del danno conseguente a reati (di molestia e diffamazione) dichiarati estinti per prescrizione, e riconoscendo, "in piena conformità ai criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362-1363-1371 c.c." e al solco tracciato dalla giurisprudenza di legittimità, il diritto della donna al risarcimento del pregiudizio subito in conseguenza dei reati.
Da qui il rigetto del ricorso e la condanna dell'alunno a pagare anche le spese di giudizio.
Cassazione, sentenza n. 11211/2017• Foto: 123rf.com