"Habent sua sidera lites" *
* "A distanza di quasi vent'anni, l'età mi ammonisce che, quando supposi che l'inventore del motto habent sua sidera lites sia stato «un causidico senza scrupoli e senza passione», forse mi ingannai: è più probabile che l'inventore sia stato un vecchio saggio avvocato, esperto del mondo giudiziario, il quale abbia voluto suggerire con questa massima un farmaco per calmare amarezze e delusioni, che altrimenti parrebbero insopportabili". (Piero Calamandrei, Elogio dei giudici. Scritto da un avvocato).
Responsabilità civile dell'avvocato: i criteri di accertamento del nesso causale
Il tema della responsabilità civile dell'avvocato è ormai da decenni oggetto di interpretazioni contrastanti. Parte della dottrina auspica un cambiamento di tendenza, consistente nell'attribuire maggiori tutele al cliente insoddisfatto[1], a dispetto di una giurisprudenza riluttante a riconoscere il risarcimento dei danni asseritamente subiti, la cui prova, nella stragrande maggioranza dei casi, non risulta raggiunta.
I nodi ancora da sciogliere si riferiscono essenzialmente a tre aspetti: 1) il mantenimento della contrapposizione tra il criterio della certezza morale e quello della probabilità nella valutazione dell'efficacia causale della condotta dell'avvocato; 2) la sopravvivenza formale della dicotomia obbligazioni di mezzi/obbligazioni di risultato; 3) la prova delle chances realmente perdute, nonché la qualificazione del danno - in termini di danno emergente o di lucro cessante - al fine di poterlo quantificare e liquidare con il metro della ragionevolezza.
L'obbligazione a carico dell'avvocato deriva dalla conclusione di un contratto di prestazione d'opera intellettuale, qualificato dalla giurisprudenza come di contratto di patrocinio[2]. Pertanto, al professionista legale si applica il combinato disposto degli artt. 1176 comma secondo e 2236 cod. civ.: la diligenza cui è tenuto il professionista legale è qualificata, in quanto valutata con riguardo alla natura dell'attività esercitata; nei casi in cui l'incarico professionale comporti la risoluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, il difensore non risponderà degli eventuali danni, se non in caso di dolo o di colpa grave[3].
In una prima fase della storia della responsabilità professionale dell'avvocato, in cui non si parlava ancora di perdita di chances[4], la giurisprudenza ha fatto costante ricorso al criterio della cd. certezza morale[5], al fine di accertare la (in-)sussistenza del nesso di causalità tra negligenza dell'avvocato e il danno lamentato dal cliente. Dunque, la problematica viene individuata non tanto nell'accertamento della negligenza o imperizia, che nella maggior parte dei casi è evidente, quanto nella probatio diabolica dell'esistenza di un danno certo e attuale (consistente nella soccombenza in giudizio) che sia conseguenza immediata e diretta dell'inadempimento. Sicché, il professionista legale veniva esonerato da ogni responsabilità in ordine ai suoi comportamenti omissivi e commissivi, anche i più negligenti ovvero si riconosceva all'attore il rimborso delle sole spese e competenze anticipate.
A metà degli anni novanta, si passa dal parametro della certezza morale a quello della ragionevole certezza che, in presenza della condotta alternativa dovuta dal professionista, il cliente avrebbe vinto il giudizio. Si rinvengono diverse pronunce che utilizzano tale criterio per stabilire il rapporto di causalità tra la condotta (perlopiù) omissiva del professionista e il danno[6].
Lo step successivo è consistito nel fatto che la giurisprudenza ha progressivamente affiancato al criterio della certezza quello della ragionevole probabilità. La pronuncia della Cassazione n. 1286 del 1998[7] ne rappresenta la sentenza pilota[8]. Essa è ritenuta di fondamentale importanza, in quanto viene stabilito il principio secondo cui «l'avvocato, nell'espletamento della sua attività, deve tendere a conseguire il buon esito della lite per il cliente»; «pertanto sussiste la sua responsabilità se, probabilmente e presuntivamente, applicando il principio penalistico di equivalenza delle cause (artt. 40-41 c.p.), esso non è stato raggiunto».
L'ambito applicativo della perdita di chances
In dottrina si è osservato come «il deciso passaggio dal terreno della certezza a quello della probabilità, nonché lo stesso declamato abbandono della teoria condizionale quale modello di spiegazione causale, a favore dell'adozione di modelli basati sull'id quod plerumque accidit, possono, eventualmente, essere proficui soltanto in quelle ipotesi (invero infrequenti) nelle quali è possibile dimostrare che la condotta negligente sia stata la causa della soccombenza in giudizio. Ma in questo caso si è al di fuori della teoria della perdita di chances e il professionista è tenuto a risarcire integralmente i danni patiti dal cliente. Il problema verte su una diversa prova del nesso eziologico tra inadempimento e danno, inteso nell'interezza della posta finale (perdita del processo), e non come perdita delle chances di conseguire un risultato favorevole»[9].
Difatti, la perdita di chances si caratterizza per il fatto che il pregiudizio non è la perdita del processo, bensì la possibilità di conservare le probabilità di vittoria o comunque un esito più favorevole (si pensi alla perdita della accertata possibilità di un accordo transattivo, a seguito della mancata impugnazione della sentenza di primo grado sfavorevole).
Non sono mancate pronunce della Suprema Corte in tal senso, dove si affermato che "La chance di conseguire un determinato bene, non è una mera aspettativa di fatto, bensì un'entità patrimoniale giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione, onde, la sua perdita costituisce una lesione all'integrità del patrimonio risarcibile come conseguenza immediata e diretta dell'inadempimento del danneggiante"[10] (dunque perdita di chances come danno emergente). Alla tesi, che considera la chance come entità autonomamente risarcibile (cd. tesi ontologica)[11], si è contrapposta quella impostazione secondo cui la chance non rappresenta un quid ontologicamente distinto dal risultato utile a cui essa mira; "essa esprime la probabilità di quel risultato, in relazione alla situazione attuale che ne le legittima l'aspettativa. Pertanto, quando si parla di perdita di chances, si designa un pregiudizio che non può essere distinto dal danno finale, cioè dalla perdita del risultato sperato (inquadrabile nell'ambito del lucro cessante, inteso come il venir meno di un'utilità futura che, al verificarsi dell'evento dannoso, risultava soltanto probabile)[12].
È bene sottolineare che non tutte le chances perdute sono suscettibili di essere risarcite. Ad esempio la responsabilità dell'avvocato per la mancata comunicazione al cliente dell'avvenuto deposito di una pronuncia sfavorevole, con conseguente preclusione della possibilità di proporre impugnazione, può essere affermata solo se il cliente dimostri che l'impugnazione, ove proposta, avrebbe avuto concrete possibilità di essere accolta. Il che è necessario secondo quanto disposto dall'art. 1223 cod. civ. che postula la dimostrazione dell'esistenza concreta di una danno, consistente in una diminuzione patrimoniale e il nesso causale tra l'insufficiente o inadeguata attività del professionista e il danno subito[13].
Obbligazione di mezzi e obbligazione di risultato. Un criterio debole
L'obbligazione scaturente dal conferimento dell'incarico al professionista legale è stata tradizionalmente considerata un'obbligazione di mezzi e non di risultato, in quanto il suo operato è destinato a scontrarsi con una serie di fattori imponderabili, imprevedibili e aleatori, tra i quali vi è la decisione del giudice.
Un primo tentativo di erosione della distinzione tra obbligazione di mezzi e di risultato si è avuto con la citata sentenza della Cassazione n. 1286 del 1998 che, enunciando il principio secondo cui «l'avvocato deve tendere a conseguire il buon esito della lite nell'interesse del cliente, sussistendo la sua responsabilità se, probabilmente e presuntivamente, esso non è stato raggiunto per sua negligenza», ne ha attenuato la portata nell'ambito della responsabilità professionale degli avvocati[14]. La dicotomia obbligazione di mezzi/obbligazione di risultato, dieci anni più tardi, è stata criticata e disconosciuta dalle Sezioni Unite, seppure in una pronuncia in ambito di responsabilità medica[15].
Sotto il profilo della prestazione, non si può non operare una distinzione tra quei comportamenti palesemente negligenti o addirittura abnormi[16] (ricorsi per cassazione o appelli interposti abbondantemente fuori termine, omessa informazione alla parte ai fini della costituzione di parte civile, atto di citazione ripetutamente nullo per mancanza o illogicità dell'edictio actionis, omessa opposizione del decreto ingiuntivo) e quelli che potrebbero essere espressione di una strategia difensiva, perlopiù discrezionali, che non sono oggettivamente riconducibili al rispetto di una regola sicura e predeterminata[17]. Orbene, sembra corretto tener distinte "prestazioni di immediata incidenza causale (nei casi in cui, l'inadempimento provocherebbe un danno diretto in re ipsa)[18] e prestazioni a causalità incerta o differita (nei casi in cui è necessario un esame approfondito della fattispecie concreta in relazione alla presenza di possibili elementi concausali o interruttivi del nesso di causalità)"[19]. Tale tendenziale[20] classificazione casistica appare utile al fine di valutare la misura della diligenza astrattamente esigibile in capo al professionista, secondo parametri quanto più possibile oggettivi[21]. Queste due tipologie di inadempimento passerebbero - nella determinazione dell'eziologia del danno - attraverso il filtro posto dal combinato disposto di cui agli artt. 1176, comma 2, e 2236 cod. civ.[22] Pertanto, gli errori di palmare evidenza e grossolanità risulterebbero imputabili anche a titolo di colpa lieve, mentre gli errori più difficili da inquadrare sarebbero imputabili solo a titolo di dolo o colpa grave.
Ciò detto, è d'uopo rilevare come, a tutt'oggi, si riscontra il prevalente uso nelle decisioni giurisprudenziale del criterio della certezza morale rispetto a quello della ragionevole probabilità. Sebbene sia diffusa in ambito civilistico (e non solo in campo medico) la regola della preponderanza dell'evidenza o criterio "del più probabile che non" ai fini della ricostruzione del nesso eziologico, è giusto che il ragionare secondo criteri probabilistici non può equivalere ad un'indebita intromissione del giudice nella strategia difensiva impostata dall'avvocato. Il giudicante può soltanto verificare se le condotte attive od omissive, come concretamente poste in essere dal professionista, si siano risolte in prestazioni contrarie alla diligenza speciale richiesta dall'art. 1176, comma 2, cod. civ..
Si può, quindi, auspicare il superamento dell'anacronistico parametro della certezza morale in favore dell'orientamento giurisprudenziale basato sul criterio probabilistico, al fine di non mortificare gli interessi del danneggiato, in quei casi in cui la condotta dell'avvocato è chiaramente connotata da colpa.
In quest'opera di contemperamento di interessi, non può risultare in ogni caso pregiudicato il principio di autonomia tra l'attività decisionale del magistrato e la strategia difensiva dell'avvocato, che è presidio del reciproco rispetto delle competenze degli operatori giuridici interessati.
A tutt'oggi, nella giurisprudenza di merito si riscontrano alcune pronunce in tema di responsabilità dell'avvocato che fanno riferimento esplicito al danno da perdita di chances, in cui si utilizza il criterio della probabilità in luogo di quello della certezza: talvolta si riconosce la perdita di chances[23] (forse liquidata con criteri discutibili), altre volte il risarcimento è negato in mancanza di prova[24].
La qualificazione del danno da perdita di chances
Venendo all'ultimo punto, a parere di chi scrive, appare sterile e completamente teorica la disquisizione sul danno da perdita di chances da ricondursi ad una "perdita subita" o ad un mancato "guadagno" (art. 1223 cod. civ.).
Le chances consisterebbero in quelle situazioni idonee a produrre il risultato sperato, solo con una certa probabilità. Sarebbero, dunque, un minus rispetto al risultato finale. Così intese, possono essere ricondotte al genus dell'aspettativa, cioè quella situazione soggettiva attiva corrispondente ad un interesse individuale tutelato in via provvisoria e strumentale, quale mezzo per assicurare la possibilità del sorgere di un diritto o la sua effettività. Di conseguenza, si afferma che si tratta di un'entità già presente nella sfera giuridica del proprio titolare, la quale in astratto è suscettibile di essere risarcita. Questo dato se può avere una qualche incidenza in ordine alla sussistenza all'an respondeatur, nulla prova riguardo al quantum.
L'autonoma valenza patrimoniale della perdita di chances non può non apparire come un artificio nel momento in cui se ne predica (ai fini della risarcibilità) l'autonomia rispetto alla posta finale sperata (vittoria del processo), ma allo stesso tempo ad essa dovrebbe fare riferimento, in termini percentuali, in sede di quantificazione dell'asserito danno.
Il vero problema è l'individuazione concreta del danno.
In realtà, a ben vedere, non vi è la possibilità di far rientrare la cd. perte d'une chance nell'ambito del danno emergente, perché qualora si accertasse in giudizio che, in mancanza della condotta imprudente o imperita del professionista (in caso di condotte attive) o ponendo come avvenuta l'azione doverosa (in caso di condotte omissive), il risultato utile si sarebbe realizzato per il cliente, allora questi dovrebbe agire in giudizio contro l'avvocato per il risarcimento del danno da perdita della causa. Si tratterebbe di una domanda diversa e più ampia, finalizzata ad una richiesta risarcitoria onnicomprensiva.
In conclusione, si ritiene che il danno da perdita di chances, possa essere riconosciuto sotto forma di lucro cessante, liquidato equitativamente ai sensi degli artt. 1226 e 2056, comma 2, cod. civ., in presenza della prova circa la sua reale esistenza, senza la quale non vi è spazio per alcuna forma di attribuzione patrimoniale.[25]
L'emanazione del recente decreto del Ministero della Giustizia del 22 settembre 2016, che, nell'attuare l'obbligo di assicurazione previsto dall'art. 12, L. n. 247 del 2012, ha stabilito le condizioni essenziali ed i massimali minimi delle polizze assicurative, a cui tutti gli avvocati sono tenuti a conformarsi entro ottobre 2017[26], non rappresenta certo un valido motivo per ampliare indiscriminatamente la portata applicativa del risarcimento da perdita di chances. In caso contrario, si finirebbe per legittimare azioni giudiziarie temerarie e pretestuose in danno agli avvocati, soprattutto quelli più giovani, già in affanno per la pesante crisi che da diversi anni colpisce la nobile professione forense.
Davide Gasparini
dagaspar18@gmail.com
[1] Il che, secondo questa dottrina, sarebbe in linea con l'introduzione dell'assicurazione obbligatoria a copertura della responsabilità civile derivante dall'esercizio della professione ai sensi dell'art. 12, comma 1, legge n. 247 del 2012; v. M. Feola, La responsabilità dei professionisti legali, in Danno e Resp., 11, 2014, p. 985.
[2] Ex plurimis, Cass. civ., sez. III, 3 maggio 1993, n. 5325.
[3] Per un approfondimento sul coordinamento tra l'art. 1176, comma 2 e l'art. 2236 cod. civ., si veda L. Franciosi, La responsabilità civile dell'avvocato, in Resp. civ. e prev., 4-5, 2001, p. 822.
[4] Si è però rilevato come Calamandrei, «dopo aver riconosciuto che un nesso di causalità immediata e diretta non potrebbe riscontrarsi tra la colpa del procuratore e la soccombenza completa», abbia però avvertito come «tale nesso esisteva indubbiamente tra la colpa del procuratore e l'immediata perdita delle probabilità favorevoli statisticamente esistenti per ogni appello». Egli aveva intuito che «non era certo il venir meno dell'intero risultato finale, ma che era certo il venir meno della possibilità di un risultato favorevole, cioè di ciò che la dottrina e la giurisprudenza francesi indicano come chance», M. Bocchiola, Perdita di "chance" e certezza del danno, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1976, p. 94.
[5] «Si finiva per richiedere un'indagine sul sicuro fondamento dell'azione che avrebbe dovuto essere proposta o diligentemente coltivata e perciò "la certezza morale" che gli effetti di una diversa attività del professionista sarebbero stati vantaggiosi per il cliente. In questo modo, la prova richiesta rimaneva molto difficile, essendo arduo dimostrare che l'opera dell'avvocato, se correttamente e tempestivamente intervenuta, avrebbe comportato la certezza che la causa sarebbe stata vinta», così G. Facci, L'errore dell'avvocato, l'appello tardivo e la chance di vincere il processo, nota a Cass., sez. III, 26 febbraio 2002, n. 2836, in Resp. civile e prev., 6, 2002, p. 1376.
[6] V. Cass., sez. III, 5 giugno 1996, n. 5264, «L'affermazione della responsabilità professionale per condotta omissiva e la determinazione del danno in concreto subito dal cliente presuppongono l'accertamento del sicuro fondamento dell'attività che il professionista avrebbe dovuto compiere e, dunque, la ragionevole certezza che gli effetti di quella sua diversa attività ove svolta sarebbero stati più vantaggiosi per il cliente. (Nella specie, un dottore commercialista lascia inutilmente decorrere il termine per l'opposizione avanti alla Commissione tributaria avverso l'irrogazione di una sanzione pecuniaria, per mancata emissione di bolle di accompagnamento, nei confronti del suo cliente)».
[7] Cass., sez. III, 6 febbraio 1998 n. 1286. «Posto che, in materia di responsabilità per colpa professionale, al criterio della certezza degli effetti della condotta si può sostituire, nella ricerca del nesso di causalità tra la condotta del professionista e l'evento, quello della probabilità di tali effetti e dell'idoneità della condotta a produrli, il rapporto causale sussiste anche quando l'opera del professionista, se correttamente e prontamente svolta, avrebbe avuto non già la certezza, bensì serie ed apprezzabili possibilità di successo». (Nella specie, il difensore, costituitosi parte civile per l'offeso, non lo aveva informato dell'udienza dibattimentale, e perciò era stata dichiarata la decadenza della costituzione, né aveva citato i testi ammessi sulla dinamica dell'incidente occorso al suo assistito e l'imputato era stato assolto con formula piena).
[8] Per un'attenta disamina della sentenza, v. F. Magni, Responsabilità dell'avvocato per negligente perdita della lite tra "certezza" e "probabilità" di un diverso esito del giudizio, in Danno e resp., 4, 1998, p. 343.
[9] M. Feola, Op. cit., p. 985.
[10] Cass., sez. II, 13 dicembre 2001 n. 15759. Nella specie è stato ritenuto che l'inadempimento contrattuale di una parte dell'obbligo di comunicazione di avvisi di accertamento fiscale da cui è derivata l'impossibilità per l'altra parte di intraprendere una lite giudiziaria, per contestare il valore della soprattassa imposta, avesse determinato un danno autonomamente risarcibile rispetto a quello derivante dalla mancata impugnazione e liquidabile secondo un criterio prognostico sulle possibilità di ottenere vantaggi economici utili dall'instaurazione della lite.
[11] M. Bocchiola, Op. cit., pp. 90 e ss., secondo il quale la perdita di chances è una entità patrimoniale consistente nella probabilità di vittoria, di cui deve accertarsi la consistenza in relazione al caso concreto.
[12] Cfr. G. Facci, Op. cit., p. 1376; e A. Pacces, Alla ricerca delle chances perdute: vizi (e virtu') di una costruzione giurisprudenziale, in Danno e resp., 2000, p. 661.
[13]In tal senso, v. Cass., sez. II, 27 maggio 2009 n. 12354, dove si precisa che «la perdita del diritto di impugnare la sentenza non può configurarsi di per sé come una conseguenza patrimoniale pregiudizievole, tenuto conto che, ai sensi dell'art. 1223 c.c., il riconoscimento del risarcimento del danno postula che il creditore dimostri l'esistenza di un concreto danno consistito in una effettiva diminuzione patrimoniale derivata, quale conseguenza immediata e diretta, dall'inadempimento del debitore». Di contraria opinione M. Azzalini, Responsabilità professionale dell'avvocato e risarcimento del danno: riflessioni su un curioso caso d'omessa informazione al cliente, in Resp. civ. e prev., 10, 2009, p. 2051, secondo cui «un diritto dell'assistito a farsi "dire no" tutte le volte che l'ordinamento lo permette», e vede nella mancata possibilità di impugnazione per colpa dell'avvocato una lesione, attuale, concreta e non potenziale, al proprio diritto all'autodeterminazione.
[14] Nello stesso senso, sia pure in tema di responsabilità del ragioniere (per scorretta impugnazione di avvisi di accertamento), Cass., sez. II, 22 novembre 2004 n. 22026.
[15] Cass. civile, Sez. Un. 11 gennaio 2008 n. 577, "La divisione fra obbligazioni di mezzi e di risultato non è immune da profili problematici, specialmente se applicata alle ipotesi di prestazione d'opera intellettuale, in considerazione della struttura stessa del rapporto obbligatorio e tenendo conto che un risultato è dovuto in tutte le obbligazioni".
[16] Al riguardo, R. Favale, La responsabilità civile del professionista forense, II ed., Padova, 2011, 7, secondo cui in questi casi inquadrare la fattispecie "un'obbligazione di mezzi con presunzione di colpa" consentirebbe di restaurare la corretta applicazione della norma dell'art. 1218 cod. civ. secondo la quale al debitore spetta di provare che l'inesattezza della prestazione è dipesa da causa a lui non imputabile.
[17] Al riguardo M. Feola, Op. cit., che nell'incipit del suo scritto fa riferimento all'esperienza francese sostenendo: «Il sempre più frequente ricorso all'inversione dell'onere della prova, ispirato al principio di vicinanza e di prossimità, induce a ravvisare ora della obbligazioni de meyens renforcées o de resultat atténuées, caratterizzate da una presunzione di responsabilità suscettibile di prova contraria, ora (ad es., nell'attività di consulenza, nella redazione di contratti e pareri, nell'adempimento di obblighi di informazione) una vera e propria obbligazione di risultato».
[18] Cfr. Cass. sez. III, 5 agosto 2013 n. 18612, «rientra nella ordinaria diligenza dell'avvocato il compimento di atti interruttivi della prescrizione del diritto del suo cliente, i quali, di regola, non richiedono speciale capacità tecnica, salvo che, in relazione alla particolare situazione di fatto, che va liberamente apprezzata dal giudice di merito, si presenti incerto il calcolo del termine».
[19] S. Argine, La responsabilità dell'avvocato tra certezza morale e probabilità, in Danno e resp., 11, 2015, p. 1065.
[20] Non si potrà in ogni caso prescindere da un'attenta analisi della fattispecie concreta.
[21] Sembra questo il senso di Cass. sez. II, 8 settembre 2015, n. 17758, secondo cui «La verifica della diligenza dell'avvocato nell'espletamento dell'obbligazione - che è di regola di mezzi e non di risultato - va compiuta attraverso un giudizio prognostico circa l'attività astrattamente esigibile dal legale tenendo conto della adozione di quei mezzi difensivi che, al momento del conferimento dell'incarico professionale e, quindi, dell'instaurazione del giudizio, dovevano apparire funzionali alla migliore tutela dell'interesse della parte dal medesimo difesa». Era il caso di un avvocato che aveva chiesto e ottenuto un decreto ingiuntivo contro il proprio cliente per il pagamento delle prestazioni professionali rese in una causa di risarcimento danni. Il cliente si opponeva al decreto sostenendo l'imperizia e negligenza del legale per non aver svolto nella causa di risarcimento alcuna domanda volta a far valere la responsabilità per mala gestio della compagnia assicurativa del danneggiante, risultando così fortemente ridotta l'entità del risarcimento ottenuto. Il Tribunale confermava il decreto ingiuntivo, mentre la Corte d'Appello successivamente adita riteneva la responsabilità dell'avvocato e liquidava il risarcimento in via equitativa, condannando l'assicurazione professionale del legale a manlevarlo e tenerlo indenne. L'avvocato proponeva così ricorso in Cassazione.
[22] S. Argine, Op. cit., p. 1066.
[23] Trib. Milano, sez. I, 01 dicembre 2014 n. 14260. Nel caso di specie era stato ottenuto dal creditore un decreto ingiuntivo che, in mancanza di opposizione, era divenuto esecutivo. Tuttavia, vi era stata l'omessa tempestiva iscrizione di ipoteca su un immobile da parte dell'avvocato. Sulla base di criteri necessariamente probabilistici, il giudice ha accertato che, senza quell'omissione, il risultato positivo sarebbe stato conseguito e la soccombenza - da identificarsi nel caso nell'esito negativo delle azioni esecutive intraprese (iscrizione ipotecaria sull'immobile di San Giuliano Milanese e insinuazione al passivo fallimentare), nonché nell'impossibilità di intraprendere altre azioni per il recupero del credito, stante l'intervenuta alienazione del bene - sarebbe stata evitata. Testualmente in motivazione si legge: «in siffatta situazione, può ragionevolmente affermarsi l'avvenuta cristallizzazione del credito con conseguente impossibilità di soddisfacimento dello stesso, neppure per percentuali fallimentari; deve pertanto ritenersi provato il danno di parte attrice per un ammontare pari alla somma portata dall'atto di precetto». Sembra, quindi, che il giudice abbia riconosciuto nel caso oggetto di giudizio la perdita di chances nei termini di danno emergente, ritenendo già consolidata la pretesa creditoria.
[24] Trib. Bari, sez. III, 24 aprile 2014 n. 2078. Nella controversia, l'attore lamentava la mancata richiesta di prova decisiva da parte dell'avvocato, attività che a suo dire avrebbe condotto ad un esito del giudizio per lui più favorevole. Secondo il giudice di Bari la doglianza sollevata dall'attore - mancata richiesta di prova decisiva - era inidonea a dimostrare quale sarebbe stato l'esito del giudizio, se lo stesso avesse compiuto le attività omesse. Concludeva che l'attività professionale dell'avvocato era stata correttamente svolta, non potendosi desumere che la mancata realizzazione delle eventuali omissioni allo stesso imputabili (peraltro non dimostrata) avrebbe condotto ad un esito diverso il relativo giudizio, tenuto conto dell'attività istruttoria complessivamente compiuta.
[25] È questo l'orientamento maggioritario della giurisprudenza di legittimità, ex plurimis, Cass., III, 19 febbraio 2009, n. 4052, in cui si dice «occorre che dagli atti risultino elementi oggettivi di carattere lesivo, la cui proiezione futura nella sfera patrimoniale del soggetto sia certa, e che si traducano, in termini di lucro cessante o in perdita di chances, in un pregiudizio economicamente valutabile e apprezzabile, che non sia meramente potenziale o possibile, ma che appaia invece connesso all'illecito in termini di certezza, o almeno, con un grado di elevata probabilità» (si badi, la sentenza non riguardava un caso di responsabilità dell'avvocato).
[26]V. G. Facci, L'assicurazione obbligatoria dell'avvocato al tempo delle claims made: il recente d.m. 22 settembre 2016, in Corr. giur., 2, 2017, p. 153.
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