Occorre anche che sia data la prova in giudizio che il proprio comportamento abbia cagionato un danno all'assistito

di Valeria Zeppilli - Per poter essere risarcito da un avvocato che ha svolto in maniera poco diligente il mandato conferitogli, il cliente non può limitarsi a dimostrare tale circostanza. A tal fine, infatti, egli deve anche provare che dallo scorretto adempimento dell'attività professionale gli è derivato un danno.

La giurisprudenza, sul punto, è ormai consolidata e un tale orientamento è stato ribadito anche nei giorni scorsi dalla sentenza numero 12038/2017, depositata dalla Corte di cassazione il 16 maggio e qui sotto allegata.

La prova

Sostanzialmente, il cliente che intende ottenere ristoro rispetto al comportamento tenuto da un avvocato ha un triplice onere probatorio, in quanto deve:

- dimostrare che l'evento produttivo del pregiudizio lamentato sia riconducibile alla condotta dell'avvocato;

- dimostrare che vi sia stato effettivamente un danno;

- dimostrare che se l'avvocato avesse tenuto il comportamento dovuto, egli avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni, alla stregua dei criteri probabilistici.

Se tale onere non è adempiuto, difetta "la prova del necessario nesso eziologico tra la condotta del legale, commissiva od omissiva (anche per violazione del dovere di informazione), ed il risultato derivatone".

La vicenda

Nel caso di specie, a chiedere il risarcimento del danno all'avvocato era una società, che, però, non era riuscita a dimostrare in giudizio né quali risultati utili avrebbe potuto ottenere se l'avvocato avesse tenuto una condotta diligente, né le lesioni subite alla propria sfera giuridico-patrimoniale.

Dopo aver ottenuto il rigetto delle proprie pretese sia in primo che in secondo grado, ha ricevuto lo stop anche della Corte di cassazione: il risarcimento del danno non le spetta.


Corte di cassazione testo sentenza numero 12038/2017
Valeria Zeppilli

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