di Lucia Izzo - La clausola c.d. claims made, inserita in un contratto di assicurazione della responsabilità civile stipulato da un'azienda ospedaliera, per effetto della quale la copertura esclusiva è prestata solo se tanto il danno causato dall'assicurato, quanto la richiesta di risarcimento formulata dal terzo, avvengano nel periodo di durata dell'assicurazione, è un patto atipico immeritevole di tutela ai sensi dell'art. 1322, comma secondo, c.c., in quanto realizza un ingiusto e sproporzionato vantaggio dell'assicuratore, e pone l'assicurato in una condizione di indeterminata e non controllabile soggezione.
È questo il principio di diritto stabilito dalla Corte di Cassazione, terza sezione civile, nella sentenza n. 10506/2017 (qui sotto allegata).
Il caso
La vicenda origina dal ricorso di un paziente dell'ospedale che aveva chiesto condannarsi l'azienda ospedaliera al risarcimento dei danni da lui patiti in conseguenza di un intervento chirurgico imperitamente eseguito.
Costituitasi in giudizio, l'azienda chiese il rigetto della domanda e chiamò in causa il proprio assicuratore della responsabilità civile, la quale negò di essere tenuta al pagamento dell'indennizzo.
L'assicuratore dedusse che il contratto
escludeva la garanzia per i fatti illeciti commessi dall'assicurato, anche durante la vigenza del contratto, solo se la richiesta di risarcimento da parte del terzo fosse pervenuta all'assicurato dopo la scadenza del periodo di assicurazione indicato nella polizza della polizza (c.d. clausola claims made). Poichè, nel caso in esame, la richiesta del danneggiato era stata avanzata per la prima volta dopo la scadenza della polizza, per effetto della suddetta clausola l'indennizzo non sarebbe stato quindi dovuto.In sede d'appello, tuttavia, l'assicurazione viene condannata al pagamento dell'indennizzo, sull'assunto della vessatorietà di tale clausola claims made che, nella sua forma tipica, avrebbe dovuto prevedere una retroattività della copertura assicurativa per i 10 anni precedenti la stipula del contratto.
A fare il punto sul tema, a seguito dell'impugnazione di parte, è la Corte di Cassazione, la quale rammenta che sul tema della validità delle clausole comunemente dette claims made, si sono occupate le Sezioni Unite nella sentenza n. 9140 del 6 maggio 2016 (per approfondimenti:)
Il supremo collegio ha stabilito definitivamente che tale tipo di clausola non rende il contratto privo di rischio, e non ne comporta la nullità ex art. 1895 c.c. e che, inoltre, la suddetta clausola non è vessatoria ai sensi dell'art. 1341 c.c.
La meritevolezza della clausola claims made
Resta, invece, da stabilire caso per caso se quella clausola possa dirsi anche "diretta a realizzare interessi meritevoli di tutela", ex art. 1322 c.c., in particolare quando, come nel caso di specie, escluda il diritto all'indennizzo per i danni causati dall'assicurato in costanza di contratto, ma dei quali il terzo danneggiato abbia chiesto il pagamento dopo la scadenza del contratto, ossia in caso di c.d. richieste postume.
Per la Cassazione è corretto il dispositivo della sentenza impugnata che ne ha escluso la validità in quanto la clausola in esame non supera il vaglio di meritevolezza richiesto dal codice civile: la clausola claims made, infatti, è un patto atipico e alle parti è consentito adottarla solo se intesa a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo il nostro ordinamento giuridico, giudizio che guarda al risultato perseguito a mezzo di essa.
Tale risultato dovrà dirsi immeritevole quando sia contrario alla coscienza civile, all'economia, al buon costume o all'ordine pubblico.
In primo luogo, la clausola claims made che esclude le richieste postume appare immeritevole di tutela, in quanto attribuisce all'assicuratore un vantaggio ingiusto e sproporzionato, senza contropartita, riducendo il periodo effettivo di copertura assicurativa, dal quale resteranno verosimilmente esclusi tutti i danni causati dall'assicurato nella prossimità della scadenza del contratto.
In secondo luogo, appare immeritevole di tutela, in quanto pone l'assicurato in una posizione di indeterminata soggezione rispetto all'altra, facendo dipendere la prestazione dell'assicuratore della responsabilità civile non solo da un evento futuro e incerto ascrivibile a colpa dell'assicurato, ma altresì da un ulteriore evento futuro ed incerto dipendente dalla volontà del terzo danneggiato, ossia la richiesta di risarcimento.
In terzo luogo, tale clausola costringe l'assicurato a tenere condotte contrastanti coi superiori doveri di solidarietà costituzionalmente imposti poichè, elevando la richiesta del terzo a "condizione" per il pagamento dell'indennizzo, legittima l'assicuratore a sottrarsi alle proprie obbligazioni ove quella richiesta sia mancata.
Si realizza, dunque un esito paradossale poichè, se l'assicurato adempie spontaneamente la propria obbligazione risarcitoria prima ancora che il terzo glielo richieda, l'assicuratore potrebbe rifiutare l'indennizzo assumendo che mai nessuna richiesta del terzo è stata rivolta all'assicurato, sicchè è mancata la condicio iuris cui il contratto subordina la prestazione dell'assicuratore.
Il ricorso dell'assicuratore deve, pertanto, essere rigettato con conferma delle statuizioni pronunciate dalla Corte d'Appello.
• Foto: 123rf.com