di Lucia Izzo - Svolgere un secondo lavoro, oltre a quello part-time, non può essere considerato dal datore di lavoro come comportamento illecito o biasimevole, in particolare se il reddito da lavoro dipendente non sia sufficiente a garantire un sostentamento dignitoso.
Se il Regolamento del personale stabilisce l'incompatibilità della qualità di dipendente part-time con qualunque altro impiego, questa non potrà essere intesa in senso assoluto, ma si dovrà verificare se sussiste in concreto un'incompatibilità tra l'esercizio della diversa attività e l'osservanza dei doveri d'ufficio o la conciliabilità con il decoro dell'Ente. Il datore di lavoro, infatti, non può disporre della facoltà del proprio dipendente di reperire un'occupazione diversa in orario compatibile con la prestazione di lavoro parziale.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, sezione lavoro, nella sentenza n. 13196/2017 (qui sotto allegata), accogliendo l'appello avanzato da un lavoratore che aveva impugnato il suo licenziamento per giusta causa intimatogli dal Patronato ENCAL.
Scoperto il secondo lavoro del dipendente part-time
, il datore lo licenziava contestandogli la violazione dell'art. 10 del Regolamento organico del personale che stabiliva l'incompatibilità della qualità di dipendente ENCAL con qualunque altro impiego sia pubblico che privato, nonché con ogni altra occupazione o attività che non sia ritenuta conciliabile con l'osservanza dei doveri d'ufficio e con il decoro dell'ente.In Cassazione, il dipendente precisa sul punto che lo svolgimento di un'attività lavorativa integrativa da parte di un lavoratore in regime di part-time
, quale era il rapporto da lui intrattenuto con ENCAL, non è da considerare comportamento illecito, ma neppure biasimevole, in particolare nei casi in cui il reddito da lavoro dipendente sia insufficiente a garantire un sostentamento dignitoso (il reddito percepito presso ENCAL ammontava ad euro 500,00 mensili).La Corte d'Appello prescindendo da ogni verifica in concreto, aveva evidenziato che il divieto previsto dal Regolamento aveva carattere assoluto e non presentava spazi interpretativi di sorta giustificanti l'inottemperanza allo stesso, a meno di munirsi di apposita autorizzazione.
L'incompatibilità della seconda occupazione va valutata in concreto
Gli Ermellini, invece, precisano che una simile lettura della disposizione regolamentare non può essere accolta, se riferita a un lavoratore in regime di part-time, in quanto il datore di lavoro non può disporre della facoltà del proprio dipendente di reperire un'occupazione diversa in orario compatibile con la prestazione di lavoro parziale; in tali casi, conclude la Cassazione, l'incompatibilità essere valutata dall'Ente in concreto.
L'unica lettura interpretativa della norma, coerente con il dettato costituzionale di cui agli artt. 4 e 35 Cost., è proprio quella che legittima la verifica dell'incompatibilità in concreto della diversa attività, svolta al di fuori dell'orario di lavoro, con le finalità istituzionali e con i doveri connessi alla prestazione, ai sensi degli artt. 2104 e 2105 c.c., mentre sarebbe nulla una previsione regolamentare che riconoscesse al datore di lavoro un potere incondizionato di incidere unilateralmente sul diritto del lavoratore in regime di part-time di svolgere un'altra attività lavorativa.
Ammettere che il datore di lavoro abbia una facoltà incondizionata di negare l'autorizzazione o di sanzionare in sede disciplinare il fatto in sé dell'esercizio di un'altra attività lavorativa al di fuori dell'orario di lavoro, sarebbe in contrasto con il principio del controllo giudiziale di tutti i poteri che il contratto di lavoro attribuisce al datore di lavoro, e proprio con riferimento ad aspetti incidenti sul diritto al lavoro.
L'incompatibilità deve essere verificata caso per caso, proprio nei termini pretesi dall'odierno ricorrente, restando tale valutazione suscettibile di controllo, anche giudiziale. Il motivo è dunque accolto e la valutazione rimessa al giudice del rinvio.
Cass., sezione lavoro, sent. n. 13196/2017• Foto: 123rf.com