Dott.ssa Giusiantonia De Prisco - Ai fini di una corretta disamina circa l'ambito di applicabilità dell'art. 316 bis c.p. in riferimento alla redazione del modello di organizzazione, gestione e controllo ai sensi del D.Lgs. n. 231/2001, bisogna in concreto soffermarsi sul momento consumativo di tale fattispecie criminosa.
Il momento consumativo della malversazione a danni dello Stato
Partendo dalla rubricazione dell'articolo in esame, possiamo ampiamente affermare che la malversazione consiste nell'utilizzare le somme ricevute per altri fini rispetto ai quali erano state erogate dall'ente pubblico. Dato che il momento in cui si consuma il reato coincide con la fase esecutiva, il reato stesso può configurarsi anche con riferimento a finanziamenti già ottenuti in passato e che ora non vengano destinati alle finalità per le quali erano stati concessi. Le attività aziendali maggiormente esposte al rischio di commissione di illeciti in relazione ai reati sopra enucleati sono:
• Investimenti per adeguamenti in materia ambientale;
• Investimenti per la produzione;
• Ricerca ed innovazione tecnologica;
• Formazione finanziata del personale;
• In genere, ogni attività finalizzata alla erogazione di finanziamenti o il godimento di benefici a carico dei bilanci della P.A., ovvero al rilascio da parte di soggetti pubblici di licenze, autorizzazioni, o ancora alla emissione di provvedimenti relativi a gare.
La condotta rilevante ai fini del reato di malversazione
La condotta rilevante è: un comportamento fraudolento caratterizzato dal dolo generico dell'indebita percezione o dell'indebito utilizzo di agevolazioni finanziarie (quali contributi, mutui agevolati, finanziamenti) in danno di enti pubblici tra i quali soprattutto lo Stato, gli Enti Pubblici Territoriali e la Comunità Europea.
L'art. 316 bis c.p. tutela l'interesse dello Stato o di altro Ente pubblico o delle Comunità europee al corretto impiego degli strumenti di sostegno alle attività economiche di pubblico interesse (Pagliaro, A., Principi di diritto penale, pt. spec., Delitti dei pubblici ufficiali contro la P.A., Milano, 2000, 94; altresì, Pisa, P., Commento alla L. 26 aprile 1990, n. 86, in Legisl. pen., 1990, 280).
La suindicata correttezza deve risultare dalla conformità dell'uso del denaro pubblico rispetto ai criteri di buona amministrazione e che nella situazione concreta si traduce nella tutela del risultato in vista del quale contributi, finanziamenti o sovvenzioni sono stati concessi. Si è, pertanto, coerentemente evidenziato come l'interruzione del nesso teleologico tra la destinazione indicata nella norma istitutiva del finanziamento e la condotta dell'agente integra il tipo delittuoso, in quanto, si traduce in una frustrazione dell'interesse sotteso al finanziamento (Benussi, C., Note sul delitto di malversazione ai danni dello Stato, in Riv. trim. dir. pen. econ., 1997, 1042 ss.).
Ad essere lesi (o posti in pericolo) dalla condotta penalmente sanzionata sono, infatti, da una parte, l'interesse patrimoniale dell'Ente erogante i contributi; dall'altra, soprattutto, l'interesse, spettante all'Ente medesimo, alla corretta individuazione degli obiettivi in vista dei quali impiegare le proprie risorse finanziarie (Pelissero, M., Sub art. 4, in Commento alla legge 29 settembre 2000, n. 300, in Legisl. pen., 2001, 991 ss.).
Rilevante ai fini della configurabilità del reato come richiede infatti la norma, è la presenza, in capo al soggetto attivo, di due requisiti: uno negativo ed uno positivo. Deve trattarsi di un soggetto estraneo alla P.A. e deve aver ricevuto lecitamente un finanziamento pubblico (Romano, M., I delitti contro la pubblica amministrazione. I delitti dei pubblici ufficiali, II ed., Milano, 2006, 60 ss.). In altri termini, la norma richiederebbe l'instaurazione di un rapporto tra ente erogante e beneficiario dell'erogazione.
Tale tesi sembra cogliere la natura dell'art. 316 bis c.p. che sanzionerebbe la violazione di «un rapporto fiduciario intercorrente tra ente pubblico erogante e soggetto fruitore il quale, attraverso la sola mancata destinazione delle risorse, a lui affidate per la realizzazione di finalità di interesse pubblico, finisce per arrecare un pregiudizio alla P.A.» (Sessa, A., Infedeltà e oggetto della tutela nei reati contro la Pubblica Amministrazione, Napoli, 2006, 113, nota 124).
Il soggetto agente assume una posizione di garanzia che si risolve nell'assunzione di particolari obblighi nei confronti dei beni affidati. In questa ricostruzione, non è certamente la fedeltà alla p.a. ad assurgere a bene tutelato, bensì, questo vincolo con la p.a. Ciò costituisce un presupposto delle condotte che aumenta il disvalore delle stesse, in quanto, attraverso un abuso di poteri o violazione di doveri, si giunge ad alterare, in concreto, le scelte della p.a. nell'allocazione delle risorse. Si è, dunque, in presenza di un c.d. reato proprio a struttura inversa, laddove la qualifica soggettiva deriva dalla situazione di fatto che fa scaturire un determinato obbligo per l'agente (Pisa, P., Art. 316 bis, in Padovani, T., a cura di, I delitti dei pubblici ufficiali contro la Pubblica Amministrazione, Torino, 1996, 40). Lo scopo di pubblico interesse, che investe il contributo o il finanziamento, è solo quello individuato dall'ente pubblico, non potendosi ammettere una sovrapposizione di una diversa valutazione da parte del privato fruitore del finanziamento.
I soggetti passivi del reato di malversazione
Lo Stato, la p.a. in generale, l'Unione europea costituiscono i principali soggetti passivi del reato.
Il presupposto della condotta riguarda la finalità delle erogazioni che devono essere destinate a favorire iniziative dirette alla realizzazione di opere o allo svolgimento di attività di pubblico interesse. È evidente dal tenore letterale che deve trattarsi di opere ancora da eseguire o attività ancora da intraprendere, oppure, di opere iniziate ma non ancora ultimate (Romano, M., I delitti, cit., 62-63). La nozione di pubblico interesse crea alcuni problemi di carattere esegetico, dovendosi scegliere tra una valutazione in astratto o in concreto della finalità pubblica cui le opere sono destinate. In concreto, la valutazione dell'interesse pubblico è ancorata alla «natura dell'opera o dell'attività in sé per sé considerata e quindi in rapporto al significato ed all'importanza sociale dell'iniziativa» (Padovani, T., La riforma dei delitti dei pubblici ufficiali contro la P.A., in Corr. giur., 1990, 542). La provenienza pubblica della sovvenzione, pertanto, non sarebbe sufficiente a connotare l'opera come di pubblico interesse, ma occorrerebbe valutare la rispondenza dell'opera a quelle che sono le finalità sociali, collettive e di pubblico interesse (Seminara, S., Art. 316 bis, in Stella, F. -Crespi, A. -Zuccalà, G., Commentario breve al codice penale, Padova, 2003, 899). Tale indirizzo risulta sensibilmente restrittivo rispetto alle finalità operative cui la norma era destinata, in quanto, non andrebbe a reprimere le ipotesi in cui il finanziamento pubblico sia destinato per finalità privatistiche che, solo in via indiretta, soddisfano l'interesse pubblico.
In astratto, si sostiene che «la finalità di pubblica utilità delle opere o attività per le quali è stato concesso il finanziamento pubblico è da ritenere insita nel fatto stesso dell'avvenuta concessione, atteso che solo il soddisfacimento di un interesse pubblico può giustificare il trasferimento a titolo gratuito o a condizioni particolarmente agevolate di danaro pubblico ad un privato» (Pelissero, M., Osservazioni, cit., 189; Benussi, C., Art. 316 bis, cit., 2163).
Tale soluzione sembra quella preferibile sia perché rende la norma più tassativa, evitando l'accertamento in concreto del perseguimento dell'interesse pubblico; sia perché più in sintonia con la lettera della legge. La norma riferisce la destinazione delle erogazioni pubbliche (contributi, sovvenzioni e finanziamenti) «non direttamente o indirettamente ad opere o attività di pubblico interesse, bensì ancor prima ad iniziative orientate a tal fine. Ora già i termini congiunti opere ed attività sembrano indicare senza distinzioni particolari beni o servizi in genere; ma soprattutto il favorire iniziative in detta direzione (cioè iniziative per la produzione o gestione di beni o servizi in genere) assume un eloquente significato di (anche larga) anticipazione della rilevanza dello scopo perseguito dalla concessione del finanziamento; l'interesse pubblico viene così a coincidere già solo con la provenienza pubblica dei fondi e con lo scopo dichiarato o implicito nel provvedimento dell'ente erogante» (Romano, M., I delitti, cit., 64).
Ad ogni buon conto, la disputa tra natura omissiva od attiva della condotta si stempera laddove si pone mente al fatto che in realtà il legislatore ha descritto una condotta distrattiva. L'evento giuridico della fattispecie è, infatti, costituito dalla divergenza di utilizzo dei fondi rispetto alle finalità che costituiscono la causale del finanziamento, perciò si sostiene che la "non destinazione" è il travestimento verbale del concetto di distrazione (Salcuni, G., op. cit., 89).
Rileva l'elemento soggettivo perché il reato è punito a titolo di dolo generico. Sono pertanto irrilevanti le finalità di qualsiasi natura che l'agente abbia inteso perseguire .
Quindi si può concludere affermando che il soggetto si deve, rappresentare di essere estraneo alla P.A., di aver ottenuto legittimamente l'erogazione pubblica, che l'erogazione pubblica è finalizzata al raggiungimento di un dato obiettivo di interesse collettivo, che deve realizzare quella finalità di pubblico interesse cui l'opera è destinata, che non ha realizzato l'opera o l'ha realizzata con modalità ed in termini contrastanti con quelli previsti nell'atto di erogazione. Il reato è escluso, per difetto di dolo, quando l'agente, per errore su legge extrapenale, erri sulle finalità per cui era stata concessa l'erogazione pubblica, oppure, erri sulla legalità della nuova e diversa destinazione (art. 47, co. 3, c.p.) .
Soffermandoci sul caso di specie, ed analizzando il Fondo Banche e Assicurazioni ed il Fondo dedicato ai dirigenti dei settori del Terziario, possiamo rilevare che:
- Hanno natura giuridica;
- Il Fba è costituito da : ABI, ANIA, CGIL, UIL, CISL come da statuto , le quali sono associazioni sindacali dotate di personalità giuridica, ai sensi dell'articolo 1 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 febbraio 2000, n. 361 che si allega;
Il Fondo non ha fini di lucro e opera in favore delle imprese aderenti al Fondo e dei loro dipendenti, al fine di favorire la qualificazione professionale dei lavoratori, lo sviluppo occupazionale e la competitività delle imprese, nel quadro delle politiche stabilite dai contratti collettivi sottoscritti tra le Parti Sociali;
Il Fondir è costituito da: Confcommercio, Abi, Ania , Confetra, Fendac, Federdirigenticredito, Sinfub e Fidia, art. 1 Statuto Fondir, e che sancisce inoltre che il FONDIR (in forma abbreviata "Fondo") è istituito come Associazione ai sensi del capo II, titolo Il - Libro Primo del codice civile; inoltre lo scopo perseguito ai sensi dell'art. 2 dello Statuto allegato, non ha fini di lucro ed opera a favore delle imprese, nonché dei relativi dirigenti, dei comparti commercio-turismo-servizi, creditizio-finanziario, assicurativo e della logistica-spedizioni-trasporto, in una logica di relazioni sindacali ispirate alla qualificazione professionale, allo sviluppo occupazionale ed alla competitività imprenditoriale nel quadro delle politiche stabilite dai contratti collettivi sottoscritti.