Commento alla sentenza della Corte di Cassazione penale n. 25576/2017
Avv. Francesco Pandolfi - L'eventuale decesso di una persona sottoposta alla privazione della libertà genera, oltre al fatto in se, una varietà di problemi giuridici, che toccano la figura e il ruolo del medico preposto alla specifica attività.

La vicenda

Nel caso sottoposto all'esame della Cassazione (cfr. sentenza n. 25576/2017 sotto allegata), un detenuto viene destinato ad uno specifico reparto, in quanto destinatario di una sanzione disciplinare che comporta l'esclusione dall'attività svolta in comune.

In un primo momento ai sanitari si rimprovera di aver svolto attività medica a tutela dell'infermo (il detenuto era affetto da polmonite massiva, epatite acuta ed altro) in modo non conforme al modello legale imposto dalla legge n. 354/75 art. 39 comma 2, limitandosi il medico al solo colloquio anamnestico e senza eseguire alcun approfondimento o esame obiettivo generale come, ad esempio, l'ispezione, la palpazione, la misurazione pressoria eccetera.

Il Giudice dell'udienza preliminare dichiara il non luogo a procedere per insussistenza del fatto, mettendo in evidenza che la legge impone la visita al medico penitenziario solo nei confronti di chi ne fa richiesta e nei confronti degli ammalati.

In particolare, dice il G.I.P., per quanto riguarda il detenuto sottoposto ad isolamento è previsto il controllo sanitario giornaliero, che non impone la visita medica vera e propria siccome tende a verificare il solo stato psicologico del detenuto.

Cassazione: responsabile il medico per la morte del detenuto malato in isolamento

Di idea completamente diversa è il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale, che invece propone appello.

Egli infatti ritiene che la condotta del sanitario sia caratterizzata da negligenza.

Il motivo di questo suo convincimento è che il regime dei controlli medici per i detenuti (sottoposti al particolare regime) tende a qualcosa in più e non a qualcosa in meno sulla verifica delle condizioni di salute, questo proprio per la particolare condizione di chi sconta la pena.

Anzi, egli sostiene che tali visite si debbano effettuare "d'ufficio" se occorre, come estrema misura di tutela proprio perché il detenuto, anche per motivi di ordine psicologico, potrebbe non desiderarle.

Le cartelle cliniche della persona in questione dicono chiaramente che nessun controllo medico è stato fatto: una visita medica avrebbe sicuramente permesso di mettere in atto i comuni protocolli per avviare il miglioramento delle precarie condizioni di salute del malato.

Insomma, l'argomento persuade la Corte di Cassazione: queste visite mediche vanno effettuate a prescindere dalle richieste dell'interessato.

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Cassazione, sentenza n. 25576/2017
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