di Lucia Izzo - La valutazione sulla spettanza dell'assegno di mantenimento e sulla sua quantificazione in sede di separazione è rimessa al giudice di merito che ricostruisce in maniera attendibile la situazione patrimoniale dei coniugi, non guardando al "pregresso" tenore di vita, bensì alle sole disparità reddituali.
È quanto emerge dalla sentenza della Corte di Cassazione, prima sezione civile, n. 16190/2017 (qui sotto allegata) che ha respinto il ricorso di una donna che si era vista ridurre l'assegno di mantenimento dalla Corte d'Appello.
I giudici a quo, dopo aver ricostruito i principi su cui si fonda l'attribuzione del mantenimento del coniuge nel giudizio di separazione, ritenevano che alla moglie spettasse il mantenimento, stante le sue condizioni patrimoniali decisamente più modeste, ma stante la progressiva diminuzione delle possibilità economiche dell'ex, riduceva l'importo a lei dovuto da 1.000 a 600 euro.
In Cassazione, la donna lamenta tra l'altro che la Corte di merito non avrebbe analizzato la documentazione da lei prodotta che provava le maggiori entrate dell'ex e avrebbe altresì sbagliato ad attribuirle un assegno tanto modesto da non consentirle affatto il mantenimento del tenore di vita goduto nel corso del matrimonio.
Gli Ermellini respingono sia le sue doglianze sia quelle del marito, intervenuto con ricorso incidentale affermando che la donna non avesse affatto bisogno di un mantenimento.
Mantenimento: si guarda alla sproporzione reddituale e non al tenore di vita pregresso
Il collegio precisa che la valutazione comparativa dei redditi, delle condizioni patrimoniali e delle potenzialità economiche dei coniugi è un apprezzamento di fatto che compete in via esclusiva al giudice di merito che, nel caso di specie, ha spiegato con chiarezza le fonti del proprio convincimento.
Indubbiamente le condizioni economiche del marito imprenditore appaiono ben più "floride" di quelle della moglie, assistente di volo con contratto part-time, come verificato dalla Corte territoriale che aveva tenuto conto anche di circostanze estranee, ad esempio l'acquisto di un appartamento comprato dopo aver lasciato la casa coniugale senza necessità di accendere un mutuo.
Nonostante le contestazioni della donna, secondo cui non era stata analizzata tutta la documentazione che avrebbe provato ulteriori maggiori redditi, la Cassazione risponde affermando che il giudice chiamato a valutare la sussistenza dei presupposti per l'attribuzione dell'assegno e a quantificarlo, non ha l'onere di accertare necessariamente i redditi delle parti nel loro esatto ammontare, essendo sufficiente un'attendibile ricostruzione delle complessive situazioni patrimoniali e reddituali dei coniugi.
Le doglianze vanno dunque rigettate e la pronuncia sembra inserirsi nel solco tracciato dalla giurisprudenza per la quale non conta, invece, il tenore di vita preesistente goduto durante il matrimonio (per approfondimenti: Assegno divorzio: la Cassazione dice addio al tenore di vita) anche in caso di separazione.
La situazione patrimoniale dei coniugi appare essere l'unico indice valutativo per la determinazione e spettanza del mantenimento, in quanto la Cassazione nulla proferisce sul presunto più alto tenore di vita goduto prima della separazione.
Cass., I sez. civ., sent. 16190/2017• Foto: 123rf.com