di Marino Maglietta - In questa seconda parte del commento dello storico decreto del tribunale di Salerno, pubblicato ieri (Affidamento condiviso: la rivoluzione riparte da Salerno), l'attenzione è focalizzata sugli "aspetti economici" del provvedimento. Il tribunale, infatti, nei vari capitoli, si è soffermato anche sul mantenimento diretto e indiretto dei figli e sulle spese, completando la propria analisi con l'affermazione che le voci più pesanti dovendo essere ripartite non già al 50%, bensì in proporzione al reddito, possono anche essere attribuite in prevalenza al genitore più abbiente, evitando l'assegno.
Mantenimento diretto e indiretto
Come anticipato nella trattazione della residenza abituale, il tribunale entra anche nel merito della fondamentale scelta della forma del mantenimento, evidenziando che - coerentemente con legge, dottrina e scienza - ciascuno dei genitori è pariteticamente tenuto a svolgere compiti di cura a vantaggio dei figli e che l'eventuale squilibrio economico dovrà riflettersi solo sull'entità del sacrificio materiale e non comportare né l'esonero né l'emarginazione di fatto di alcuno dei due; fatti salvi ovviamente i casi di impossibilità materiale, come quelli legati alla distanza. Il che vuole anche dire che neppure il caso limite della famiglia monoreddito esenta uno dei genitori dall'accudimento, né il più abbiente nè il meno abbiente, dovendosi scartare sia l'ipotesi che il produttore di reddito provveda a tutto, sia che dia all'altro (nella prassi attuale "il collocatario") l'intera somma, o quasi, che serve a coprire i bisogni: l'assegno perequativo, previsto dal legislatore, renderà possibile che se la dividano metà per uno.
"Quanto alla forma del mantenimento, dal comma I dell'art. 337-ter c.c., che anticipa e si salda con il successivo comma IV, discende che ciascun genitore deve assumere una parte dei compiti di cura dei figli, restando obbligato a sacrificare parte del proprio tempo per provvedere direttamente ai loro bisogni, comprensivi della parte economica.
Ciò vuol dire in concreto che la forma privilegiata dal legislatore è quella diretta non potendosi ritenere completamente assolti i doveri di un genitore dalla fornitura di denaro all'altro (forma indiretta) mediante un assegno.
Si tratta in concreto, caso per caso, vicenda per vicenda, di individuare quanto il mantenimento indiretto sia residuale e quindi di determinare l'eventuale contributo perequativo.
In quest'ottica va precisato che, ai sensi dell'art. 337-ter comma quarto c.c., l'eventuale assegno perequativo svolge solo la funzione di mettere il genitore meno abbiente in condizione di fare la sua parte nei confronti dei figli, provvedendo di persona ad alcuni dei loro bisogni. Ad es., se per una figlia servono 800 € al mese e la madre non ha reddito, il padre assumerà oneri per 350,00 € e le corrisponderà € 450,00 in modo che possa provvedere sia a voci di spesa come alimentazione, utenze, prodotti per l'igiene e simili quando ha la figlia con sé, ma anche a quei capitoli di spesa "esterni" che si sarà convenuto che assuma, tipo l'abbigliamento, fino alla concorrenza di € 450,00.
Quindi la ricerca a priori di ciò che è "compreso nell'assegno" e ciò che ne è escluso per individuare le "spese straordinarie", non trova riscontro diretto nelle disposizioni di legge perché il legislatore aveva previsto che di regola i genitori si ripartiscono compiti e spese e le spese straordinarie sono quelle imprevedibili.
In altre parole, inizialmente si assegneranno a ciascun genitore oneri proporzionali alle rispettive risorse (il che per le scelte principali vuol dire solo provvedere economicamente, non decidere: resta l'obbligo di concordare se il figlio frequenterà una scuola pubblica o una privata, se andrà in piscina o in palestra), distribuendo ogni spesa prevedibile, e quindi si stabilirà che al verificarsi di spese imprevedibili (Cass. 16664/2012) queste verranno ripartite in funzione del reddito. Tutto ciò nella libertà delle parti di concordare regole diverse."
Ovviamente, a parere di chi scrive le cifre 450 e 350, in luogo di 400 e 400, sono con tutta probabilità effetto di un refuso (trascinamento dell'assegno di 450,00 € del caso particolare?), essendo una suddivisione asimmetrica incompatibile con il ragionamento svolto.
Criteri di classificazione delle spese e loro attribuzione
Quanto appena accennato suggerisce un approfondimento della questione "spese", che in effetti anche il decreto avvia:
"... nella prassi sono spesso presenti elenchi di voci di spesa dette "straordinarie", considerate tali semplicemente perché non quotidiane, senza fare caso al fatto che siano perfettamente prevedibili o meno. Come sopra accennato, appare invece preferibile distinguere tra le spese associate alla convivenza - e quindi inevitabilmente a carico del genitore presente al momento - e spese "esterne" prevedibili, attribuibili liberamente e quindi anche in modo da compensare eventuali differenze di frequentazione o di reddito, che oltre tutto con il crescere dei figli diventano quantitativamente di gran lunga dominanti, sconfessando evidentemente la tesi che il genitore co-residente sia inevitabilmente quello che spende di più per i figli. In realtà dipende da come si attribuiscono le spese esterne. "
Un'idea della varietà delle opinioni in materia la fornisce certamente una recente affermazione (2016) reperibile in dottrina: "Come noto, sono "straordinarie" le spese che non rientrano nell'importo dell'assegno mensile da erogare al genitore collocatario dei figli, essendo spese imprevedibili ed imponderabili."
Chi scrive, viceversa, ritiene che i criteri da combinare siano due: il costo totale dei figli, che è da ripartire in proporzione del reddito; l'assolvimento dei compiti di cura, che è da assegnare in parti in linea di principio uguali. Una terza variabile (relazionalmente la principale) si aggiunge alle prime due: stabilire chi decide, oltre a chi paga e chi esegue. Variabili che non si dovrebbe permettere che si intreccino a caso: andrebbero separate e disciplinate a monte. Un esempio: chi deciderà che il figlio pratichi il nuoto? Chi sceglierà la piscina? Chi ce lo accompagnerà? Chi la pagherà? Nel merito, la legge stabilisce solo che le decisioni principali (spesso confuse con le "spese straordinarie") devono essere concordate, ma null'altro dice e, in particolare, non specifica quale genitore si debba incaricare, in genere, delle spese esterne (acquistare i libri di scuola, scegliere un maglione, far tagliare i capelli al bambino ecc.). D'altra parte, siccome entrambi i genitori sono affidatari entrambi hanno titolo per provvedere, senza distinzioni di ruolo; il che ovviamente ha dato luogo a un forte sviluppo di contenzioso. Per mettervi un freno da tempo si è andato costruendo un ampio numero dei cosiddetti "protocolli delle spese straordinarie". Pressoché ogni tribunale ha il suo, leggermente diverso negli elenchi, ma quasi sempre simile agli altri nell'impostazione: purtroppo non condivisibile. In genere, infatti, per turare una falla se ne aprono altre, di legittimità come di opportunità. Tipicamente vengono elaborate tre liste: 1) delle voci comprese nell'assegno di mantenimento; 2) di quelle non comprese e da concordare; 3) di quelle non comprese, ma che non importa concordare. Contestualmente, si intende che ad 1) provveda il genitore collocatario e per la lista 2), essendo necessario l'accordo preventivo, si suppone ottimisticamente che al suo interno venga stabilito anche chi provvede. La lista 3), poi, resta completamente scoperta, benché possa contenere voci comuni come libri scolastici e spese ortodontiche, per cui può accadere che i genitori procedano entrambi senza preavviso e poi chiedano reciprocamente il contributo dell'altro.
Sul più rilevante piano del diritto per comprendere meglio le criticità di un sistema del genere può servire riportare un esempio concreto di voci inserite in 1): abbigliamento totale, parrucchiere o barbiere, tasse scolastiche, uscite scolastiche di un giorno, prescuola, doposcuola, cancelleria, mensa, trasporto urbano, carburante, ricariche cellulare, antibiotici, antipiretici, medicinali necessari alla cura di patologie ordinarie e/o stagionali. Tutte queste voci vengono definite come "comprese nell'assegno di mantenimento" e quindi, secondo prassi, riservate al "genitore collocatario", benché in regime di affidamento condiviso. Ovvero, osservato che nessuna di esse è legata alla convivenza, si deve concludere che il "genitore non collocatario", solo perché definito tale, viene escluso non necessariamente dalla maggior parte dei momenti di partecipazione alla vita quotidiana. Non solo. Si direbbe che possieda magiche facoltà terapeutiche, visto che i figli quando sono con lui non hanno bisogno di curarsi. Oppure che le medicine per lui non abbiano un costo. Accanto a queste prime osservazioni - sorvolando sulla ricorrente divisione al 50% delle spese straordinarie in lista 2), che non rispetta il criterio di legge della proporzione - salta agli occhi la concezione distorta della valenza e dell'utilizzazione dell'assegno perequativo. Questo, per come è introdotto, serve solo a dare globalmente a chi lo percepisce la possibilità di fare la sua parte nei confronti dei figli, per cui non comprende e non esclude alcunché: il fruitore lo gestisce a sua discrezione per spese sia interne che esterne, da concordare oppure no.
Riprendendo l'esempio del decreto relativo alla famiglia monoreddito, le operazioni da compiere, suggerite dal Tribunale di Salerno, sono di estrema semplicità e al contempo rigorose. Se la somma delle varie necessità del figlio conduce a un totale medio di circa 800,00 € mensili dei quali, ad es., 300,00 legati alla convivenza e 500,00 di spese esterne, organizzata in modo mediamente paritetico la presenza del figlio presso ciascun genitore il giudice assegnerà al genitore senza reddito 150,00 € per le spese di convivenza più 250,00 € per coprire capitoli di spesa esterni corrispondenti a tale cifra, per un totale di 400,00 €; lasciando che l'altro genitore provveda alle spese residue sia esterne che interne, per analogo totale di 400,00 €. In questo modo ciascun genitore vive la quotidianità con il figlio, si sa in partenza chi gestisce cosa, non c'è nulla da discutere, non è necessario attendere nulla-osta né conservare scontrini e altre forme di documentazione: insomma, vengono meno le principali e permanenti ragioni di attrito.
I capitoli di spesa più pesanti al genitore più abbiente?
Il Tribunale completa poi la propria analisi affermando:
"Oltre a ciò possono capitare spese imprevedibili, che "secundum legem" saranno sopportate in proporzione del reddito e quindi ripartite di regola non al 50% ma ad esempio al 33% e 67% nel caso in cui un genitore guadagni il doppio dell'altro.
Le spese prevedibili possono essere ripartite tra i due genitori attribuendo al genitore più abbiente i capitoli di spesa più onerosi." Un espediente che permette di evitare il ricorso all'assegno perequativo, ovvero di ridimensionare o sopprimere un meccanismo di contribuzione di per sé decisamente malvisto dalla parte obbligata, comportando un trasferimento di reddito da chi lo ha prodotto ad altro soggetto - spesso in pessimi rapporti - che lo userà a propria discrezione, senza delega e senza rendiconto. Da cui consegue una prevedibile tendenza all'evasione nonché un frequente contenzioso. Per questo, soprattutto nei casi in cui la differenza tra i redditi è ragionevole, può essere consigliabile rispettare la proporzione dando al genitore più facoltoso qualche onere in più, scelto accortamente in modo da non avere a che fare con la partecipazione alla quotidianità (ad es., pagare il dentista).
In merito a quest'ultimo punto, alcuni obiettano, tuttavia, che ciò renderebbe più evidenti per il minore le differenti possibilità economiche esistenti tra i due genitori; ma in effetti il diritto del figlio a vedere soddisfatti i suoi bisogni "attuali" (art. 337-ter comma quarto c.c.) consente che per lui nulla cambi rispetto a prima: se prima frequentava una scuola privata e praticava l'equitazione non preoccupandosi che pagasse il padre, avvenendo dopo la stessa cosa non c'e motivo di credere che ciò diventi per lui motivo di turbamento. Anche perché il fatto stesso che il padre corrisponda alla madre un assegno (se si concorda quella via) segnala al figlio la differenza delle risorse ed è pure altamente improbabile che nessuno dei genitori gliene faccia conoscere l'entità.
La linea di rottura è ormai tracciata
Visto l'ampio spazio dedicato dal decreto a spiegare le ragioni delle decisioni, queste diventano facilmente comprensibili e non meritano quindi in questa sede eccessivi commenti.
L'aspetto di maggiore rilievo può essere visto nella (rarissima) applicazione del secondo comma dell'art. 337-quater; per altro limitata al cambiamento della residenza anagrafica (ma con doppia domiciliazione della figlia) che, pur non avendo alcuna conseguenza pratica, dovrebbe servire a stimolare in quella madre un maggiore rispetto per la figura dell'altro genitore, se non altro nel timore di decisioni più gravi. Un segnale di avvertimento dovrebbe venire anche dal compito assegnato al CTU di valutare le capacità genitoriali di entrambi i genitori, e non solo quelle del genitore, posto sotto accusa dall'altro.
Non può invece stupire che con l'incremento della presenza e dei compiti di cura assegnati al padre sia stata ridotta l'entità dell'assegno perequativo.
E' stata, dunque, tracciata una linea di rottura con una lunga e radicata tradizione precedente. Il decreto non potrà non rendere obbligatoria una più vasta riflessione su tutti i concetti qualificanti dell'affidamento condiviso, come ruoli genitoriali, domiciliazione, frequentazione, residenza abituale, compiti di cura, forma del mantenimento, assegno perequativo e divisione dei carichi economici. Il tutto alla luce di una nuova fondamentale lettura della relazione fra interesse del minore e suoi diritti.
Non si può che sperare che l'esempio sia seguito e che questi orientamenti si consolidino. La società civile li ha richiesti e attende.
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